La repubblica popolare cinese è passata da 9 a 52 milioni di tonnellate di carne suina prodotte nel giro di 35 anni: il conto presentato oggi è però salato. Sui Proceedings of National Academy of Science (USA), una vera e propria indagine sulla presenza di “superbatteri” negli allevamenti suini cinesi: che sarebbero assai diffuse.
La transizione al “modello alimentare occidentale”, che secondo alcuni osservatori ha portato la Cina a raggiungere un consumo interno di 52 milioni di tonnellate (2012) a fronte di un consumo pari a 9 milioni di tonnellate (nel 1978). Per fare un confronto, nello stesso lasso di tempo la produzione USA è passata dalle 6 alle 8 milioni di tonnellate. Questo aumento produttivo ovviamente è stato reso possibile da una diminuzione dei costi produttivi, ottenuta però con una intensivizzazione degli allevamenti a dir poco problematica. Certo, è importante sottolineare anche la nuova regolamentazione introdotta proprio nel 1978, quando la produzione centralizzata comunista venne rimpiazzata dalla produzione in fattorie a conduzione familiare.
In questo processo gli antibiotici hanno avuto un ruolo guida. Ma oggi se ne pagano le conseguenze.
In base alla pubblicazione dal titolo “Diverse and abundant antibiotic resistance genes in Chinese swine farms”infatti, tetracicline, quinoloni e sulfonamidi –alcuni degli antibiotici di prima linea più diffusi- sarebbero ormai scarsamente efficaci negli allevamenti suini cinesi, in ragione di una presenza ambientale prossima alla saturazione, e che ha finito per favorire lo sviluppo- si apprende in Alimenti e Salute– di 149 geni di resistenza.
In definitiva, l’intero globo sta pagando –e pagherà- le conseguenze di costi produttivi artificialmente bassi, in ragione di una difficile circoscrivibilità della antibiotico-resistenza: i batteri resistenti infatti migrano facilmente così come la trasmissione dei geni della resistenza è comune. Proprio per questo le maggiori istituzioni mondiali- dalla OMS ad EFSA, alla ECDC e ad EMA- stanno provando a far qualcosa ai livelli più alti- e con il massimo coordinamento possibile- della governance globale.
Sicurezzaalimentare.it – 23 marzo 2013