Tutto come allora. Le valigette piene di banconote, gli incontri clandestini ai caselli dell’autostrada. Mazzette in cambio di lavori, e basta questo per tornare a vent’anni fa, a quando il pool di Mani Pulite scoperchiò il pentolone di Tangentopoli travolgendo l’Italia. Cambiano le facce, ma neanche tutte. E per il resto ogni cosa sembra tornata esattamente al punto di partenza.
Ieri il giudice per le indagini preliminari di Milano ha ordinato l’arresto di sei persone con l’accusa di aver messo in piedi un sistema di appalti pilotati che ruotava intorno all’Expo del 2015, il mastodontico appuntamento internazionale che si svolgerà il prossimo anno nel capoluogo lombardo e che coinvolgerà anche il Veneto con una serie di eventi collaterali. Nella rete della procura è finita la solita poltiglia di politici corrotti e faccendieri assetati di denaro. A foraggiarli, stando alle accuse, era il vicentino Enrico Maltauro, 58 anni, amministratore delegato dell’omonimo Gruppo che già negli anni Novanta era finito nei guai con l’accusa di aver pagato tangenti a socialisti e democristiani per ottenere un grosso appalto relativo all’aeroporto di Venezia.
All’alba di ieri una ventina di finanzieri in borghese è andata a prenderlo a Valdimolino, una località sperduta della campagna vicentina. Lui era nella sua splendida villa, isolata (come piace a lui) e ricavata da un vecchio mulino che suo padre, il cavaliere del lavoro Adone Maltauro, in passato aveva riempito di animali esotici, perfino di zebre e lama.
Nelle 606 pagine dell’ordinanza firmata dal gip Fabio Antezza, si scorgono gli usi e le abitudini tipici della vecchia Tangentopoli. Maltauro avrebbe versato centinaia di migliaia di euro in mazzette, ottenendo in cambio informazioni utili a fargli vincere gli appalti. A inchiodarlo ci sono una mole impressionante di intercettazioni e perfino un video che lo mostra mentre consegna una tangente davanti alla sede milanese di un centro culturale intitolato – ironia della sorte – al teorico dello «Stato ideale» Tommaso Moro.
Stando alle accuse contenute nell’ordinanza di arresto «l’accordo con l’imprenditore» prevedeva il «versamento della somma diretta a influenzare le procedure di appalto (…) di 25mila euro mensili da febbraio-marzo del 2013 e un primo pagamento di 50mila euro previsto per Natale 2012». La cifra pagata ogni trenta giorni da Maltauro sarebbe progressivamente cresciuta, fino a sfiorare i 40mila euro che venivano versati – a seconda dei casi – in contanti oppure «utilizzando lo schermo di falsi contratti di consulenza e collaborazione con gli associati» o perfino sotto forma di «inserzioni pubblicitarie su una rivista».
A spartirsi il denaro era «la cupola degli appalti», composta dal direttore della pianificazione acquisti della Expo 2015 Angelo Paris, dall’ex parlamentare della Dc Gianstefano Frigerio, dal forzista Luigi Grillo, e da Primo Greganti, storico esponente del Pci coinvolto in Mani Pulite, che agivano con l’intermediazione di Sergio Cattozzo, originario della provincia di Rovigo ed ex segretario dell’Udc della Liguria.
Il pm Ilda Boccassini, che ha coordinato l’inchiesta, è convinta che avessero creato una «saldatura» tra imprese, cooperative e tutti gli schieramenti politici (da destra a sinistra, fino alla Lega Nord), per condizionare e assegnare appalti in cambio di tangenti. Se Frigerio, soprannominato «il Professore», dalle intercettazioni sembra in stretti rapporti con l’ex premier Silvio Berlusconi («Il mio capo mi ha chiamato ad Arcore», diceva in una conversazione del 10 maggio 2013), Greganti era invece «legato – scrive il gip – al mondo delle società cooperative di area Pd», che quindi venivano protette e favorite negli appalti.
Questo era il mare in cui nuotava l’imprenditore vicentino, che sbandierava presunti rapporti di amicizia con il segretario della Liga veneta Flavio Tosi e che in cambio delle tangenti otteneva in anteprima tutte le informazioni necessarie a vincere gli appalti più interessanti. Un’importante gara per l’Expo «del valore di 67 milioni di euro» sarebbe stata aggiudicata «in favore di un’Ati partecipata da Celfa oltre che dalla Maltauro costruzioni». Si tratta dell’appalto per realizzare le «Architetture di servizio» previste per l’evento del 2015, che sarebbe stato condizionato – dice l’ordinanza – in cambio di «600mila euro da suddividersi in parti uguali» tra i partecipi dell’associazione, compreso Cattozzo.
E non era finita: «Un trattamento preferenziale a imprese di riferimento dell’associazione» veniva riservato da Paris ad altri appalti per l’Expo, come il «progetto vie d’acqua» (anche questo vede la partecipazione del Gruppo vicentino), o l’area parcheggi, e il progetto «Citta della Salute» da 350 milioni, per il quale uno degli indagati «si avvaleva di notizie destinate a restare segrete che rivelava su richiesta di Maltauro e Levorato, nell’interesse dei partecipanti alla gara». Inoltre, i componenti della cupola «turbavano le procedure di gara e turbavano i procedimenti amministrativi al fine di condizionare (…) la società pubblica Sogin spa, Società Gestione Impianti Nucleari per Azioni in favore della Maltauro» e di altre aziende per un appalto da 98 milioni di euro.
Una montagna di soldi. Tanti, al punto da spingere Frigerio e Cattozzo a studiare il modo migliore per nasconderli. I due arrivano a «programmare l’utilizzo in futuro di una cassetta di sicurezza in Svizzera ove far confluire il denaro proveniente da Maltauro». In questo modo, i loro complici avrebbero potuto andare a Lugano «per prelevare la propria quota dal caveau».
Ora che il «grande corruttore» e l’intera cupola si trovano in carcere, la macchina dell’Expo può ripartire. Secondo il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, l’imprenditore vicentino e gli altri arrestati non erano altro che «rami malati». E, come tali, «andavano recisi nel più breve tempo possibile».
Andrea Priante – Corriere del Veneto – 9 maggio 2014