Paolo Baroni. L’industria del «tarocco» non conosce limiti e non conosce crisi. In Italia (e nel mondo) si falsifica di tutto: dalle scarpe ai capi di abbigliamento, dai medicinali (a cominciare dal Cialis) all’elettronica di consumo, e poi gioielli, occhiali e profumi, sigarette, giocattoli, cd e dvd. Secondo le ultime stime si tratta di un mercato parallelo che solo nel nostro Paese vale circa 7,5 miliardi di euro e che sottrae ben 17,7 miliardi alla produzione legale causando una perdita di 100 mila posti.
Le calzature sono in assoluto il prodotto più imitato, ma la contraffazione non risparmia settori come la rubinetteria, i ricambi auto o gli strumenti per la diagnostica medica. Gucci, Chanel, Prada, Vuitton i marchi del lusso più taroccati, assieme ad Apple, Nike, Disney ed Adidas.
«Ormai il 90% di queste merci arriva da fuori – spiega Mario Catania di Scelta civica, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione -. C’è stata una fase, quella dell’artigianato della contraffazione», in cui il fenomeno aveva radici italiane e una sua filiera tutta nazionale. Oggi il prodotto contraffatto arriva in gran parte dall’Asia, dalla Cina ma non solo. Viene importato dalla criminalità internazionale spesso con saldature con quella locale che fa da sponda nelle operazioni di passaggio in dogana e nella distribuzione. In altri casi sono i cinesi a fare tutto, dalla A alla Z».
Bancarelle su strada, mercati, spiagge: ogni luogo è buono per fare acquisti di merci fasulle. Lo scorso anno, secondo l’ultima indagine Confcommercio-Format, un consumatore su 4 ha acquistato almeno una volta un prodotto o un servizio illegale. In aumento rispetto al 2014 soprattutto abbigliamento (+11,3%), calzature (+5,9%) e pelletteria (+2,8%). A spingere questo tipo di acquisti sono sostanzialmente motivi di natura economica: per il 72,1% dei consumatori «non si hanno i soldi per comprare i prodotti legali» mentre un altro 70% «pensa di fare un buon affare». Si tratta «di una vera e propria piaga che non si limita più solo alla clonazione di prodotti di lusso. Ciò che è maggiormente dannoso – sostiene il presidente Confcommercio, Carlo Sangalli – è la stretta interconnessione fra contraffazione e fenomeni quali sfruttamento del lavoro nero, criminalità e sommerso».
Sul settore del commercio la contraffazione pesa per circa 3,3 miliardi. Dei 6-7 miliardi di giro d’affari complessivo del falso 2,2 miliardi riguardano abbigliamento ed accessori, 1,8 miliardi cd, dvd e software ed un altro miliardo l’alimentare. Se però si proiettano su scala globale le stime relative alle falsificazioni di formaggi, salumi e vini italiani, all’insegna dell’italian sounding (dal Parmesan del Wisconsin al Prosecco made in Crimea) si arriva all’incredibile cifra di 60 miliardi di euro, ovvero il doppio del nostro export. E secondo Coldiretti ci costa almeno 300 mila posti.
Soluzioni? In Parlamento, dal Pd a Scelta civica, dalla Lega a Forza Italia all’M5s, molte proposte di legge puntano a rafforzare le azioni di contrasto. Per Catania si tratta innanzitutto di «aggiornare e razionalizzare le norme sui reati alzando quelle a carico dei grandi trafficanti». Poi «occorre aumentare il coordinamento tra i vari corpi di polizia, centralizzare i sistemi informatici e prevedere misure per contrastare gli scambi che viaggiano attraverso i canali di e-commerce. Pesando anche a bloccare i pagamenti a colpire i provider.
La Stampa – 5 maggio 2016