Si mettano insieme l’analisi dei big data e le storiche razze italiane, i droni e la tutela delle risorse idriche, le «miss» della fattoria in passerella e il risparmio energetico negli allevamenti. Ognuno di questi temi, e molti altri, rappresentano alcune sfaccettature di un’agricoltura italiana ricchissima di talenti, non sempre conosciuti e valorizzati. È di ieri, infatti, l’allarme lanciato da Coldiretti a Fieragricola, della «scomparsa» di due milioni di capi, tra mucche, maiali e pecore dalle fattorie italiane.
Questione di reddito e di concorrenza, spesso, sleale, ma questione anche di biodiversità e di patrimonio zootecnico che il nostro Paese rischia di perdere per sempre. Sono 130 le razze a rischio estinzione, infatti, secondo la denuncia di Coldiretti: 38 razze di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini.
Della capra Girgentana rimangono una cinquantina di esemplari; della Pontremolese, razza di vacca della Lunigiana, 46 capi. E così sono in pericolo la Mora romagnola, un maiale nero di medie dimensioni, o la Cabannina, una mucca autoctona della Liguria. E senza andare lontano, la pecora Brogna, tipica della Lessinia, è stata inserita in un programma di recupero della razza, mentre la Rendena, una vacca che ha fatto la storia delle montagne tra Vicenza, Verona e Trentino è seriamente in pericolo.
A salvarle dall’estinzione, contadini «eroici» che continuano ad allevarle, pur sapendo che sono meno redditizie di altre. «Ma così – dice Claudio Valente, presidente di Coldiretti Verona – rischiamo di perdere la nostra più grande ricchezza che è data dalla biodiversità: nessun Paese al mondo può contare su una biodiversità come quella italiana che deve diventare fonte di reddito, attraverso, ad esempio, il turismo rurale».
Ma se l’agricoltura si ritira, allora intere aree, come la montagna rischiano di rimanere abbandonate. Chi può venire in aiuto? La tecnologia, i droni, l’analisi dei big data. Che un supporto per l’agricoltura venga dall’alto è ormai una certezza. Basta andare al padiglione di Fieragricola dedicato ai droni (sì, c’è) per scoprirne l’utilizzo e le funzionalità. Tra gli altri modelli, si potrà vedere Efesto che è stato sviluppato in collaborazione con il Cnr: ebbene utilizzando le mappe prodotte dal drone, si potrà realizzare un’agricoltura di precisione che permette di risparmiare fino al 25% di risorse idriche. Ma se i droni non fanno per voi, risultati altrettanto interessanti si possono ottenere con sistemi di precisione montati a terra, in grado di mappare il terreno e di distribuire acqua e nutrienti in maniera adeguata. Il fattore determinante è saper interpretare i dati «perché – spiega Chiara Sattin, presidente di Anga Veneto – la sensoristica applicata all’agricoltura è ormai avanzata ed affidabile e l’insieme delle informazioni che si raccolgono permette di prendere le decisioni giuste al momento giusto. I big data rappresentano il passaggio dal contadino all’imprenditore agricolo».
Anche in questo caso, l’obiettivo è produrre risparmiando risorse: lo stesso che ha il protocollo, firmato ieri dal ministro dell’Agricoltura Martina e da Enel, per rendere gli allevamenti più efficienti da un punto di vista energetico. E se nemmeno l’analisi statistica fa per voi, a Fieragricola è possibile trovare, praticamente, qualsiasi mezzo meccanico necessario all’agricoltura: dal minuscolo attrezzo da usare in campagna, a colossi che fanno sedere il guidatore a più di tre metri d’altezza e in grado di sviluppare una potenza di 1.100 cavalli.
Il paragone sarà improprio, ma giusto per capire: la Lamborghini Aventador, al massimo ha una potenza di 700 cavalli.
Il Corriere di Verona – 4 febbraio 2016