Chiude il Cibus dei record con 3mila aziende espositrici (2.700 la precedente edizione), 72mila visitatori (67mila), di cui 16mila esteri (13mila) e 2.200 top buyer. E lascia in eredità il lancio del primo Osservatorio internazionale sull’Italian sounding alimentare, il cui primo rapporto sarà presentato nel prossimo aprile, in occasione di Cibus Connect, la versione light del Salone finalizzata al confronto con la grande distribuzione.
La 18esima edizione del Salone internazionale dell’alimentazione si è chiuso ieri con numeri record, forse anche superiori alle aspettative. «È la migliore edizione di sempre – ha commentato Elda Ghiretti, Cibus brand manager – e ha visto il comparto agroalimentare italiano presentarsi con circa mille innovazioni di prodotto. Abbiamo notizia di un alto volume di affari conclusi o ben avviati, con la piena soddisfazione delle aziende e dei buyer esteri e italiani».
Fin qui i dati ufficiali dell’azienda, ma per gli operatori Cibus è stato utile? «Sono stati quattro giorni fruttuosi – osserva Claudia Cremonini, dell’omonimo gruppo modenese – Siamo stati contattati da molti buyer esteri e il bilancio finale è più che positivo».
Positiva anche Susanna Vitaloni, vice presidente del Gruppo alimentare San Carlo: «Abbiamo registrato un ottimo afflusso di buyer esteri. Ci contattano e poi diventa un gancio per il loro Paese».
Dal fronte del dolciario, Nicola Fiasconaro, noto pasticciere siciliano delle Madonie, è talmente convinto dell’efficacia delle fiere da partecipare anche alla milanese Tuttofood. «In questi giorni di intensi contatti con gli operatori – spiega – noi capiamo come andranno gli ordini del prossimo Natale. E anche quest’anno cresceremo del 10%. L’export è importante vale il 20% dei 14 milioni di fatturato».
Per Francesca Petrei Castelli dell’Antico pastificio rosetano Verrigni, «quest’anno abbiamo ricevuto la visita di molti operatori professionali: ci daranno una mano a far crescere l’export. Noi siamo la pasta degli chef ed è importante avere i mezzi per finanziare la ricerca e servire meglio il mercato italiano».
Fra gli esordienti al Cibus, Gabriele Gritti, di Caffé Hausbrandt, osserva che «qui è diverso dal Sigep (salone dedicato al dolciario, al caffè e Bakery ndr): a Rimini chiunque entri nel tuo stand è un professionista. Qui il 90% entra per bere un caffè. Valuteremo se partecipare anche alla prossima edizione».
Diversi i risultati rilevati da Annalisa Tardioli, responsabile marketing della perugina Molini Spigadoro, specializzata nelle farine speciali. «Oggi c’è un fortissimo interesse per le farine Tipo 2 (meglio conosciute come semi-integrali ndr) – dice Tardioli – e tutti ci chiedono se le nostre farine sono bio o integrali. Forse anche grazie a questo interesse se, in questi giorni, siamo riusciti a stabilire dei contatti con importanti catene di distribuzione».
Nell’ultimo giorno di Cibus è arrivata la notizia che Federalimentare e Fiere di Parma saranno i promotori dell’Osservatorio sull’Italian sounding alimentare. L’Italian sounding è una fra le più subdole forme di comunicazione ingannevole e attribuisce a un prodotto un’origine italiana che in realtà non ha. La falsa evocazione di italianità si ottiene mediante bandiere, foto e nomi. Un giro d’affari che in passato è stato stimato intorno ai 60 miliardi.
«Se pensiamo che solo in America il fenomeno vale circa 23 miliardi con 7 prodotti su 8 venduti impropriamente come italiani – sostiene Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare e coordinatore dell’Osservatorio – ecco che il valore complessivo e quindi il danno economico per l’industria alimentare italiana è ben più alto». L’Osservatorio studierà l’Italian sounding avvalendosi della consulenza scientifica di un advisor. L’obiettivo finale del progetto è quello di favorire interventi repressivi e legali per fermare il dilagare del finto prodotto italiano.
Emanuele Scarci – Il Sole 24 Ore – 13 maggio 2016