Nel dibattito parlamentare la battaglia più accesa è stata combattuta sul come proteggere i lavoratori più anziani. «Non c’è stata quasi nessuna discussione sui 600mila giovani disoccupati»
La critica investe il terreno (scivoloso) della guerra generazionale. La rilancia (ancora una volta) il Financial Times che boccia senza mezzi termini l’ultima riforma del lavoro. In realtà – segnala il quotidiano anglosassone – il problema sarebbe persino di ordine culturale, soprattutto se gran parte del dibattito (con le minacce, e i veti, i proclami e le forzature di sindacati e associazioni datoriali) sia stato dirottato su come proteggere al meglio gli older workers, gli esodati, la cui contabilità è sembrata – a tratti – sfuggire alle maglie interpretative del governo chiamato al balletto di cifre dall’Inps targato Mastrapasqua.
L’OBLIO GENERAZIONALE – Solo una breve parentesi (marginale?) su come favorire l’ingresso degli oltre 600 mila giovani senza lavoro. L’ultimo dato che denota il 36% di disoccupazione giovanile avvalora l’ipotesi di generazione dimenticata, esclusa dal ciclo produttivo, sulla quale la nuova riforma non inciderebbe più di tanto, nonostante le buone intenzioni. Gustavo Piga, economista e docente all’università di Tor Vergata dice al Financial Times, che «il rischio è di perdere queste persone per sempre». Soprattutto al dramma (individuale e categoriale) si aggiunge la teoria – suffragata da anni – che a pagarne il conto sarebbe anche il prodotto interno lordo del Paese, se la gran parte dei giovani non diventa parte attiva della forza-lavoro. Un disinvestimento collettivo di portata storica (l’ipotesi -per prima – l’aveva rilanciata il Censis qualche anno fa). Gli fa eco Tito Boeri che afferma sullo stesso giornale: «Il nuovo sistema penalizza i giovani e non ha fatto nulla per affrontare il problema». Secondo il professore della Bocconi, la riforma Fornero permette ad un nuovo assunto con un contratto permanente di avere le stesse protezioni di un dipendente con 30 anni di lavoro. Ciò scoraggerebbe le aziende dall’assumere e dunque costringerebbe i giovani a saltare da un lavoro all’altro per tutta la vita.
IL PROGRAMMA PUBBLICO – Dopo le critiche, anche i suggerimenti. Piga ipotizza la necessità di un vasto programma nazionale di incentivi al lavoro. Un programma che costerebbe circa 16 miliardi di euro per le casse dello Stato e permetterebbe di assumere circa un milione di giovani con contratti non rinnovabili della durata di due anni per circa mille euro al mese. Così i giovani potrebbero venire assunti in musei, ospedali, amministrazioni pubbliche come una sorta di servizio civile retribuito. «Dopo due anni – spiega Piga – i giovani assunti sarebbero meglio posizionati sul mercato (per le competenze acquisite, ndr.) in modo da poter continuare a lavorare. Un piano che potrebbe essere finanziato con le risorse provenienti dalla spending review», rilancia Piga.
Corriere.it – 18 luglio 2012