Una corsa senza fine. La creazione o i ritocchi alle agevolazioni fiscali non si sono arrestati neanche nell’ultimo anno e mezzo e nel bel mezzo dei ripetuti annunci di riordino e semplificazione dei bonus. Anche il governo Renzi ha contribuito a far crescere il già corposo fascicolo delle cosiddette tax expenditures.
Da maggio 2014 ad oggi, a partire dall’introduzione degli 80 euro in busta paga (il più «pesante» in termini di erosione del gettito), sono state 56 le agevolazioni introdotte, ripristinate o modificate per un impegno economico complessivo che supera i 17 miliardi di euro per il solo 2015. Come dire, quattro bonus al mese o se si preferisce uno a settimana.
Da una parte, ci sono interventi che hanno contribuito a sostenere la crescita, dai già citati 80 euro al taglio del costo del lavoro per le imprese, o ancora il sostegno al sistema produttivo (investimenti in nuovi macchinari, patent box, SuperAce, bonus edilizi). Dall’altra parte, invece, emergono micro-misure che non lasciano intravedere un disegno a medio e a lungo termine. Si pensi ai crediti d’imposta «trasversali» (perché riguardano diversi settori) con una durata ridotta nel tempo e risorse limitate, che quindi richiedono un’attuazione per escludere i beneficiari o ampliare il raggio d’azione.
Il bonus last minute
Neanche l’attuale maggioranza si è risparmiata dall’utilizzo last minute delle agevolazioni fiscali, ossia dalle agevolazioni dettate da esigenze estemporanee per compattarsi su provvedimenti cardine, come la legge di Stabilità ma non solo. Un esempio è l’introduzione del regime forfettario per le «piccole» partite Iva arrivato proprio nella Finanziaria dello scorso anno. Poi, però, sulla scorta delle polemiche provocate dalle caratteristiche più penalizzanti del nuovo regime, maggioranza e opposizione sono corse ai ripari resuscitando appena due mesi dopo (con la conversione del Dl Milleproroghe) i minimi con le imposte al 5% per tutto il 2015. In sostanza, una toppa che non ha rimediato alle storture del forfettario e che obbligherà ora Esecutivo e maggioranza a riscrivere le regole in materia nella prossima legge di Stabilità (si veda «Il Sole 24 Ore» del 14 agosto). Il tutto al netto di eventuali ripensamenti.
Ci sono poi casi in cui la spinta all’agevolazione fa passare in secondo piano anche la compatibilità con il sistema europeo come la riduzione dell’Iva al 4% sugli e-book: la stessa misura in Francia ha già ricevuto uno stop a livello comunitario.
L’impatto economico
Se si guarda al valore economico impegnato dal governo Renzi con le 56 agevolazioni di questo ultimo anno e mezzo, il conto ricostruito dal Sole 24 Ore del Lunedì oltrepassa i 17,2 miliardi, considerando però solo gli effetti di competenza sul 2015 e il fatto che diverse agevolazioni istituite recentemente produrranno costi solo nei prossimi anni. Di questi, il 56,3% sono a sostegno di agevolazioni e bonus che impattano sui redditi delle famiglie, il 43,6% vanno a beneficio delle imprese (oltre 5 miliardi sono riservati al taglio dell’Irap) e solo lo 0,1% è per Pa e terzo settore. Ma per il 2015 potrebbe non finire qui. Il carnet degli aiuti fiscali si è arricchito con lo school bonus previsto dalla «Buona scuola» e con il rilancio della detassazione dei redditi dei lavoratori altamente specializzati che rientrano in Italia, contenuto nel decreto attuativo della delega fiscale sull’internazionalizzazione delle imprese che attende ancora (a oltre un mese dal sì finale) la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale». Altri sconti sono in gestazione e potrebbero materializzarsi nella prossima legge di Stabilità, come l’ipotesi del credito d’imposta per alleggerire la pressione fiscale sulle aziende del Mezzogiorno o una “riapertura” della Guidi-Padoan per chi investe in macchinari. Ma la regina delle agevolazioni potrebbe (ri)diventare la casa, con l’addio a Imu e Tasi sull’abitazione principale.
Siccome però nella vita c’è sempre un «dare e avere», nel cantiere delle tax expenditures c’è anche chi lavora a un taglio per recuperare non meno di 1,2 miliardi nell’operazione spending review. Le principali “indiziate” in odore di tagli sono le agevolazioni su agricoltura e autotrasporto. Per vedere come e se si concretizzerà questo intervento bisognerà attendere metà ottobre con la presentazione del disegno di legge sulla manovra. Se, invece, dovesse concludersi con un nulla di fatto, ci troveremmo di fronte all’ennesimo tentativo andato a vuoto di riordino per le difficoltà legate alla possibile perdita di consenso. Perché tagliare le agevolazioni equivale ad aumentare la pressione fiscale. Un ricordo recente? Il tentativo del governo Monti di rimodulare le detrazioni per spese sanitarie presentato ufficialmente nel Ddl Stabilità 2013 per poi essere subito ritirato durante il primo passaggio parlamentare. Del resto, è dal 2011 che diversi Governi cercano di “disboscare” le agevolazioni per drenare risorse da un monte complessivo di oltre 161 miliardi iscritto nel bilancio 2015 dello Stato. Finora però hanno prodotto clausole di salvaguardia che hanno portato, tra l’altro, a un aumento dell’aliquota ordinaria Iva (ora al 22%).
Gli obiettivi per il futuro
Qualcosa potrebbe cambiare nel prossimo futuro con il via libera delle Camere (atteso in settimana) all’ultimo parere sullo schema di decreto delegato relativo al monitoraggio dell’evasione e dell’erosione fiscale e poi con la successiva definitiva approvazione in Consiglio dei ministri. Il provvedimento impone all’Esecutivo di preparare un rapporto annuale programmatico per ridurre o riformare le spese fiscali ingiustificate, superate o ritenute un doppione di altre. Il piano dovrà (ed è questa la novità rispetto al mero principio) essere attuato con la manovra di finanza pubblica. A rafforzare la mappatura, ci sarà un tagliando ogni cinque anni dall’introduzione di un bonus, per verificare proposte di eliminazione, riduzione, modifica o conferma.
La difficile revisione di un sistema fuori equilibrio
Secondo l’antico, ma sempre valido, insegnamento di Adam Smith un sistema fiscale dovrebbe avere alcune caratteristiche fondamentali ovvero l’equità, l’efficienza, valutata considerando sia i costi diretti sia quelli indiretti, e la certezza del diritto. La realizzazione di questi obiettivi all’interno di sistemi economici complessi, dove il numero di contribuenti è elevato e le tipologie di comportamento sono estremamente eterogenee, è molto difficile. Sarebbe preferibile che al sistema fiscale fossero affidati pochi e ben delimitati compiti, riassumibili nell’idea di produrre il maggior gettito possibile dato un ammontare massimo di costi sociali sopportabili dal sistema economico. La redistribuzione che si può raggiungere attraverso un sistema fiscale è limitata da ciò che lo stesso sistema non vede o non sa (l’evasione) nonché da ciò che non può fare. È, ad esempio, distorsivo affidare al sistema fiscale compiti di sostegno sociale, posto che questi ultimi possono essere assolti solo tenendo conto delle condizioni del nucleo familiare, mentre il sistema fiscale è organizzato su base prevalentemente individuale. Queste e altre riflessioni suggerirebbero, quindi, di sfoltire in modo radicale la molteplicità di tax expenditures attualmente vigenti.
Tuttavia, bisogna fare i conti con la situazione di fatto. Negli ultimi decenni, e non solo in Italia, è stata fatta la scelta, più o meno consapevole, di attribuire al sistema fiscale compiti che non gli sarebbero propri: il sostegno alla povertà, il contrasto degli interessi convergenti all’evasione, il finanziamento di determinate tipologie di spese meritorie (si pensi a quelle di acquisto di coperture pensionistiche integrative) o in grado di aiutare, per ipotesi, il ciclo economico (si pensi a tutte le spese per ristrutturazioni edilizie e affini). Inoltre, si è andati, per un verso, alla semplificazione della struttura del sistema con la riduzione del numero di scaglioni e aliquote e, per l’altro verso, all’introduzione di nuove detrazioni aventi la finalità di recuperare la progressitivà perduta. Il risultato è un’imposta, l’Irpef, la cui struttura è caotica e poco trasparente, con ricadute negative sul rapporto tra fisco e contribuente.
Ma tornare indietro da questa situazione non è affatto semplice. Secondo la stima originaria, il valore complessivo delle tax expenditures si aggirerebbe intorno ai 160 miliardi di euro. Di queste, circa il 25% sono detrazioni per i redditi da lavoro dipendente che consentono il recupero, sia pure parziale e forfettario, delle spese di produzione del reddito, come avviene per il lavoro autonomo. Si noti che già adesso queste spese sono modulate in base al reddito, per cui un’ulteriore modulazione ne accentuerebbe la finalità redistributiva riducendo ulteriormente la capacità di compensare il dipendente per le spese sostenute. Un ulteriore 25%, nella stima originaria, era ricondotto alle aliquote ridotte dell’Iva, che hanno la funzione di ridurre la tassazione su alcuni beni a largo consumo, tipicamente gli alimentari. Altri 10,5 miliardi vengono dalle detrazioni per familiari a carico, e in questo caso la finalità è quella di attuare l’equità orizzontale, sebbene in modo spesso incoerente con l’altro principale strumento destinato a questo scopo, ovvero gli assegni per il nucleo familiare. Altre detrazioni, pur di entità e portata più modesta, sono state giustificate sia con finalità sociali (le detrazioni per le spese mediche) sia con l’obiettivo di generare il conflitto di interessi tra prestatore d’opera e consumatore e quindi ridurre l’evasione.
Idealmente, quindi, l’operazione di revisione andrebbe condotta guardando a ogni singola detrazione e valutando gli effetti delle rimodulazioni in termini di efficienza e di equità e in modo coordinato con gli strumenti di politica economica che hanno o potrebbero avere finalità simili o affini (assegni familiari, imposta negativa, norme di incentivo all’emersione spontanea, politiche di sostegno al reddito, ecc.). In pratica, questo approccio è difficile, esattamente per le stesse ragioni per cui è difficile operare una spending review ragionata e analitica anziché ricorrere al taglio lineare delle diverse voci di spesa. La riuscita della revisione delle tax expenditures sta quindi nel giusto equilibrio tra analiticità ed efficacia.
Il Sole 24 Ore – 14 settembre 2015