Fisco, occupazione e tagli alla politica ecco le cose che il governo deve fare
Primo bilancio dell’attività dell’esecutivo. Fra annunci e realizzazioni, pesano le divisioni della maggioranza
ROMA – I primi cento giorni del governo di larghe intese hanno prodotto meno risultati dei primi cento del governo di Mario Monti. Le prime decisioni dei tecnici – anche le più incisive – furono politicamente consentite dalle pressioni dei mercati internazionali sui tassi d’interesse del nostro debito pubblico. Il governo Letta, invece, sebbene più protetto dallo spread rispetto all’esecutivo precedente, ha scontato sin dal primo momento le irriducibili tensioni tra i due partiti maggiori, le loro spinte identitarie, e un clima generale reso via via infuocato prima dall’attesa per la sentenza Mediaset, poi dalla condanna per Silvio Berlusconi e dalle successive polemiche.
Ma, al netto di queste attenuanti così incisive, è evidente che l’esecutivo non abbia ancora individuato una rotta decisa e netta nelle scelte di questi primi tre mesi.
Sui temi di politica economica, l’incertezza è quotidiana. Lo vediamo sulle tasse: sono tre mesi che si discute delle risorse per finanziare definitivamente la riduzione dell’Imu e per scongiurare l’aumento di un punto dell’Iva. E sono tre mesi che un fronte trasversale interno alla maggioranza, con forti sponde nel governo, nel mondo delle imprese e della rappresentanza del lavoro, spinge perché le risorse da reperire siano destinate non all’Imu, ma alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Anche qui, nessun passo in avanti, una melina che genera incertezza e non fa bene né ai consumi delle famiglie né a eventuali investimenti sul lavoro da parte delle imprese.
In generale, c’è molta confusione anche su come individuare risorse per un’agenda economica, qualunque essa sia. C’è chi si limita a discutere su come rimodulare entrate fiscali (le proposte sulla riduzione dell’Imu di cui si parla in queste settimane sono sostanzialmente tutte derivanti dalla rimodulazione di altre entrate). Altri, in cerca di una strada per recuperare risorse, hanno rispolverato l’ipotesi di una nuova ondata di privatizzazioni, che ha subito destato allarmi e divisioni nella maggioranza. Mentre, la strada imboccata – pur con qualche errore d’impeto dal governo Monti – di riduzione della spesa risulta più impervia di un anno fa. Poche novità sul fronte della spending review (e così, anche se è poca cosa da un punto di vista finanziario, fa bene il presidente del Consiglio a intervenire sulle flotte di auto e aerei di palazzo Chigi).
L’unica linea che il governo coltiva, già da un paio di mesi, è confidare nella congiuntura internazionale, perché i dati macro indicano una ripresa dell’Eurozona e dell’economia americana. Ma non bisogna dimenticare che anche nel caso di una ripresa del nostro pil trainato dall’economia internazionale, con un debito e con una disoccupazione così alti, per noi sarebbe comunque obbligatorio procedere con riforme strutturali. Le incertezze delle scelte del governo diventano ancora più avviluppate e complesse sui temi più scottanti per il rapporto tra i partiti: la giustizia, le riforme istituzionali, la legge elettorale, e il finanziamento pubblico ai partiti.
La sentenza di condanna per Berlusconi ha reso più tesi i rapporti e ancora più incerto il futuro del governo. Palazzo Chigi può contare sulla moral suasion del Quirinale. Ma la litigiosità nella maggioranza, la frammentazione delle leadership nel Pd e in Scelta Civica, e il futuro della galassia Pdl-Forza Italia sono destinate a riflettersi sull’azione dell’esecutivo. È auspicabile che si trovi un accordo quanto prima sulla legge elettorale e sul finanziamento dei partiti: scialuppe di salvataggio se la situazione politica precipitasse. Per il resto è difficile immaginare che il coraggio di due o tre scelte necessarie da fare subito, possa prevalere sui tatticismi e i piccoli egoismi di un sistema politico in campagna elettorale permanente.
Giovedì 15 Agosto 2013 – corriere.it