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Fornero: sostegno disoccupati. Sì a reddito minimo garantito

Per il momento siamo ad una «preferenza personale che non impegna il programma del governo», ma comunque la proposta è stata fatta e potrebbe introdurre se non una rivoluzione almeno una grande innovazione nel tessuto sociale italiano.

La ministra del Welfare, Elsa Fornero, si è detta favorevole all’istituzione di un «reddito minimo garantito». «La mia preferenza è che ci sia un sistema di questo genere – ha detto la ministra rispondendo ad una domanda durante la sua conferenza stampa a margine del Consiglio Affari sociali dell’Ue – Comunque, una simile riforma va congegnata e inserita in un pacchetto più ampio di misure».

Il reddito minimo garantito, detto anche reddito di cittadinanza, è una misura di sostegno sociale che si applica – in genere – a categorie di cittadini che vivono un momento di difficoltà rispetto al lavoro: giovani in attesa di prima occupazione, ultracinquantenni disoccupati con difficoltà di reinserimento, persone in condizione di marginalità sociale. La misura – beninteso – ha sempre un carattere temporaneo ed è finalizzata ad un superamento della difficoltà contingente.

Il reddito minimo esiste oggi in tutti i paesi comunitari, con esclusione del nostro, della Grecia e della Bulgaria. Sono ben quattro i provvedimenti comunitari che sollecitano questa misura di politica sociale, il primo è del ‘92 ed è una «Raccomandazione» del Consiglio europeo sulle politiche di protezione sociale. L’ultimo è un documento della Commissione del 2008, relativo «all’inclusione delle persone fuori del mercato del lavoro». Le norme che i vari stati si sono date sono differenti così come gli effetti che hanno prodotto. L’Inghilterra, l’Olanda, la Germania e i paesi scandinavi sono quelli che hanno attuato politiche di inclusione sociale ed economica da più lungo tempo e con esiti più apprezzabili.

L’Italia ha sempre latitato, con una eccezione importante ma breve: le legge 328 del 2000 voluta dall’allora ministra Livia Turco, che consentì di sperimentare il reddito minimo di inserimento in 298 comuni. Nel 2001 ci fu, però, un cambio di governo, e con la finanziaria del 2003 la sperimentazione finì. Alcune regioni, negli anni successivi, presero dei provvedimenti analoghi (Lazio, Campania, Basilicata, Friuli, Trentino, Valle d’Aosta, Puglia) ma i successi e le rispettive durate furono differenti. Se l’ipotesi Fornero dovesse conoscere degli sviluppi, saremmo di fronte ad una importante novità, in quanto è dimostrato che il reddito di inserimento non ha solo valenza assistenziale ma consente anche l’inclusione di alcune categorie momentaneamente svantaggiate nella dinamica economica.

L’annuncio della Fornero è stato salutato con giubilo perfino da un leader critico nei confronti del governo, come Nichi Vendola, per il quale «saremmo di fronte ad una innovazione importantissima». Ed è poi ovvio, visto il precedente, che la cosa sia piaciuta a Livia Turco (Pd): «È un fatto molto positivo – ha detto – Qualora fosse possibile, ciò permetterebbe di colmare il grave ritardo accumulato dall’Italia».

Non contrario, ma molto perplesso, invece, il vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Osvaldo Napoli: «Reddito minimo garantito? Bene, ma pagato come e da chi? Con l’Ici e la patrimoniale? O dai lavoratori che si vedono decurtato il trattamento previdenziale? Le indiscrezioni che filtrano dagli organi di informazione delineano un quadro, ove trovassero conferma negli atti di governo, politicamente sgradevole per la maggioranza elettorale».

La Stampa – 2 dicembre 2011

Da Il Resto del Carlino – 2 dicembre

Il ministro Fornero ha annunciato che il pacchetto di provvedimenti anti crisi conterrà anche parti importanti della riforma previdenziale: «I vincoli di tempo sono strettissimi»

OLTRE 5 MILIARDI di risparmi subito in sole tre mosse. Elsa Fornero debutta nella sua veste di ministro del Lavoro al Consiglio Ue e annuncia che il pacchetto di provvedimenti anticrisi da approvare lunedì conterrà anche parti importanti della riforma previdenziale. Subito dopo, sempre per l’esigenza di coniugare rigore ed equità, si metterà mano alla riforma del mercato del lavoro: a cominciare dal salario minimo garantito. La riforma previdenziale, riconosce il ministro, «comporterà sacrifici», ma «saranno resi più tollerabili basandoli sull’equità generazionale». La professoressa ribadisce che «i vincoli di tempo sono strettissimi», ma arriva la convocazione per domenica delle parti sociali a Palazzo Chigi. Il ministro a Bruxelles cita due provvedimenti: accelerazione nell’innalzamento dell’età di pensionamento per le lavoratrici private e contributivo pro rata per tutti. Come si sa, dal prossimo anno le dipendenti pubbliche potranno andare in pensione di vecchiaia solo se avranno compiuto 65 anni.

Età che con le norme attuali diventa 66 a causa della finestra mobile. Per le lavoratrici private il governo Berlusconi aveva invece previsto un meccanismo di equiparazione con gli uomini estremamente lungo: si arrivava a regime nel 2026. Monti e la Fornero vogliono anticipare il tutto al 2016 (anche se qualcuno parla del 2018). Di sicuro nel 2012 le lavoratrici private matureranno i requisiti per lasciare il lavoro solo se avranno 62 anni, poi si dovrebbe procedere con l’aumento di un anno ogni 18 mesi. La norma riguarda 300mila persone e porta un risparmio cumulato pari a 3 miliardi. IL CONTRIBUTIVO pro rata per tutti è sicuramente una misura equa. Significa che chi si è salvato dalla riforma Dini continuerà a vedersi calcolare l’assegno previdenziale con il vantaggioso sistema di calcolo retributivo fino al 31 dicembre. Da gennaio del 2012 fino al momento della quiescenza il calcolo sarà invece fatto con il sistema contributivo (tanto versi, tanto ricevi). Il pro rata all’inizio a regime frutta 1,5-2miliardi. «Se ci saranno eccezioni — avverte la Fornero — saranno verso il basso, non per dare di più a chi ha avuto di più».

IL MINISTRO ieri non ne ha parlato, ma si dà per scontato che lunedì scatti anche il blocco dell’adeguamento delle pensioni all’’inflazione per uno o due anni. E una misura che dà soldi subito: la Cgia di Mestre calcola che se fosse applicata a tutti i 16 milioni e 300mila pensionati, lo Stato risparmierebbe 4,5 miliardi. In realtà il governo starebbe pensando di escludere almeno chi ha una pensione al minimo (476 euro). Va ricordato che la scorsa estate chi era oltre questa cifra si è già visto ridurre l’adeguamento del 45%. Secondo gli artigiani di Mestre ciascun pensionato subirà mediamente un taglio di 280 euro. Meno probabile che la prossima settimana venga deciso anche l’intervento su chi ha 40 anni di contributi alle spalle. Oggi può andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica, mentre l’idea sarebbe quella di alzare la soglia a 42-43 anni o di introdurre quota 100 (40 anni di contributi, ma non meno di 60 anni di età). PER IL MOMENTO dovrebbero restar fuori i nuovi meccanismi per la pensione di vecchiaia. Anche perché la Fornero è favorevole a un sistema flessibile (63-68 anni con incentivi e disincentivi) e la Ragioneria alle quote. La riforma del mercato del lavoro arriverà invece dopo, e comprendera il salario minimo garantito. L’ha annunciato il ministro aggiungendo che l’Italia è l’unico Paese europeo, con l’Ungheria, a non prevederlo. Commenta Raffaele Bonanni, segretario Cisl: «E un tema ripescato da pubblicazioni degli anni 70. Parliamo invece di pensioni e non lanciamo messaggi subliminali. Lasciamo il reddito minimo garantito a quando avremo più soldi».

Il Resto del Carlino – 2 dicembre 2011

 

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