La regione Piemonte ha deciso di alzare le misure di prevenzione e di rendere più restrittivi i controlli sulla macellazione dopo la conferma di un caso di mucca pazza riscontrato in un bovino di 5 anni morto nei giorni scorsi in un allevamento del dipartimento dell’Ardennes in Francia. La decisione è stata presa ieri dall’assessorato alla Salute in via precauzionale in attesa che il ministero della Salute fornisca indicazioni più precise sui provvedimenti necessari.
L’Organismo mondiale per la salute animale, infatti, il 25 marzo ha sospeso lo stato di «rischio di Bse trascurabile» della Francia dove è in corso una indagine epidemiologica per valutare la presenza di rischi per la salute pubblica.
L’assessorato, però, ricorda che in Piemonte «il rispetto dei severi standard previsti per la produzione di farine proteiche destinate all’alimentazione animale ed una costante sorveglianza da parte dei Servizi veterinari negli allevamenti e nei macelli, forniscono un elevato livello di sicurezza degli alimenti e di tutela dei consumatori». Senza dimenticare che il Piemonte importa poche decine di migliaia di bovini sui 450 mila macellati ogni anno nella Regione.
Che succederà adesso? Giorgio Ferrero, assessore regionale all’Agricoltura, spiega: «Per fortuna nella nostra regione è presente la razza autoctona piemontese con quasi 400 mila capi che viene allevata in piccole e medie stalle con un rigoroso controllo». In Piemonte ci sono anche allevamenti di vitelli importati dalla Francia in tenera età «sottoposti a rigidi controlli».
Tiziano Valperga, direttore dell’associazione regionale degli allevatori, non nasconde la preoccupazione: «Mi sembra di essere tornato indietro di 15 anni quando esplose lo scandalo della muzza pazza: ma ciò ci ha permesso di costruire un percorso di filiera garantita che usa alimentazione naturale e non mangimi». Dal suo punto di vista «la tipicità è la miglior garanzia per i consumatori anche se forse servirà spiegare di nuovo le differenze».
Secondo Maria Caramelli, direttrice dell’Istituto Zooprofilattico del Piemonte che coordina le analisi di encefalopatia spongiforme bovina di tutta Italia, «ci vorranno ancora un paio di settimane per verificare la presenza sul nostro territorio di bovini a rischio». E aggiunge: «In questi anni abbiamo fatto oltre sette milioni di screening: l’ultimo caso di Bse in Italia è stato registrato nel 2011».
Il problema, almeno secondo Caramelli è che «il Piemonte è la regione che mangia più carne francese: se si consumasse solo carne piemontese, gli approvvigionamenti attuali basterebbero per appena due mesi». Che succederà adesso? «Ora in Francia stanno svolgendo tutti i controlli per risalire all’origine del virus, la cui incubazione può durare anche cinque anni: se si trattasse di nuovo di mangimi contaminati, il problema potrebbe essere decisamente serio».
La Stampa – 1 aprile 2016