In Italia l’epidemia causata dai frutti di bosco surgelati contaminati dal virus dell’epatite A ha colpito 1.787 persone. Il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo nel rispondere il 4 febbraio in commissione Affari sociali della Camera a un’interrogazione del Movimento 5 Stelle, primo firmatario Giuseppe L’Abbate, ha assicurato che “la situazione di crisi si deve considerare superata considerando la riduzione dei casi di malattia riconducibili al consumo di frutti di bosco“. Gli ultimi episodi risalgono al mese di agosto del 2014, quando si è registrata un’improvvisa ripresa dei ricoveri che ha allertato le autorità sanitarie. Nel corso dell’epidemia sono stati identificati 15 lotti contaminati e 45 lotti sono stati classificati come “sospetti” e le aziende coinvolte sono state 11. De Filippo ha ricostruito le origini dell’epidemia e le iniziative intraprese dal ministero della Salute per contrastarla.
Le origini. All’inizio di maggio 2013, ha riferito il sottosegretario, sono stati segnalati casi di epatite A in turisti stranieri, residenti in Germania, Olanda e Polonia, che avevano soggiornato nelle Province Autonome di Trento e Bolzano tra marzo ed aprile, periodo compatibile con l’incubazione della malattia. Dalla valutazione delle schede di notifica obbligatoria e da una prima analisi dei dati del Sistema epidemiologico integrato dell’epatite virale acuta, è emerso un incremento dei casi di epatite A, pari al 70 per cento nel periodo marzo-maggio 2013 rispetto allo stesso periodo del 2012. Inoltre, in relazione ad un « cluster » familiare di epatite A, associato al consumo di una torta guarnita con frutti di bosco, verificatosi ad aprile 2013, è stato effettuato il campionamento e l’analisi di una confezione ancora integra di frutti di bosco misti congelati, con esito positivo della ricerca del virus.
Le risposte. È stato, pertanto, attivato il Sistema di allerta rapido comunitario per alimenti e mangimi, in quanto i frutti di bosco sottoposti ad analisi erano originari da diversi Paesi (Bulgaria, Polonia, Serbia e Canada). Con la Circolare 23 maggio 2013, al fine di rafforzare la sorveglianza dell’epatite A in Italia, il Ministero ha disposto di segnalare tempestivamente tutti i casi al Ministero e all’Istituto Superiore di Sanità; inviare i campioni clinici (siero e feci) prelevati dai casi al Laboratorio di Riferimento dell’Istituto per effettuare la genotipizzazione ed il sequenziamento dei virus; inviare tutti i campioni di alimenti sospetti all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale competente per territorio, per le indagini di laboratorio.
Inoltre, anche alla luce delle due epidemie in corso in Europa, del recente aumento dei casi di epatite A in Italia e dell’isolamento del virus in una confezione di frutti di bosco surgelati, si è sottolineata l’importanza di indagare sempre sia eventuali viaggi all’estero, in particolare in Egitto o in Paesi del Nord Europa sia l’eventuale consumo di frutti di bosco surgelati.
È stata, inoltre, istituita una « task force », con l’obiettivo di determinare le cause dell’aumento dei casi di epatite A, di stabilirne l’effettiva correlazione con la circolazione di alimenti contaminati, nonché di individuare la migliore strategia integrata di controllo da mettere in atto.
Ad oggi, ha detto ancora De Filippo, non è stato individuato un unico punto di contaminazione che colleghi tutti i casi e tutti i lotti contaminati. Tuttavia, i risultati delle indagini condotte limitano le ipotesi a due sole possibili fonti, con un livello simile di evidenza: ribes rossi prodotti in determinate regioni e annate in Polonia e more prodotte in Bulgaria (anno e zone di produzione sconosciute).
Per quanto riguarda le attività di comunicazione, il Ministero della salute assicura di aver da subito adottato iniziative allo scopo di minimizzare il rischio per il consumatore.
Il grafico mostra i casi di epatite A in Europa causati dai frutti di bosco nel periodo gennaio 2013 giugno 2014. I casi italiani sono colorati in azzurro e rappresentano oltre il 95% del totale. Fonte Efsa
La replica. L’onorevole L’Abbate, replicando, ha lamentato “la lentezza e inadeguatezza mostrata dal Governo nel fronteggiare l’emergenza”. E ha sottolineato come in Italia siano stati riscontrati oltre la metà dei casi rispetto al totale registratosi a livello europeo. “Questo caso – ha affermato – può considerarsi emblematico del pessimo livello di valutazione e comunicazione del rischio esistente nel Paese”. Nel rilevare che l’attuale riduzione del fenomeno è dovuta a cause fisiologiche, ha auspicato che nel caso di un’emergenza futura ci sia una risposta più rapida e maggiormente efficiente.
La polemica. Sulla vicenda interviene anche Roberto La Pira del Fatto alimentare. “Riconosciamo le oggettive difficoltà che hanno impedito di risalire all’origine del focolaio (mancanza di una tracciabilità dei lotti, complessità della filiera…) e che non hanno permesso agli esperti in questi due anni di individuare un unico punto di contaminazione in grado di collegare i casi e i lotti. Ed è vero che alla fine anche gli esperti europei non sono riusciti ad individuare il focolaio, ma quello che è più grave è la scelta di non voler informare in modo adeguato milioni di persone. Solo così si può spiegare il numero esagerato di soggetti colpiti in Italia. A fronte di poche decine di casi in Europa, in Italia si sono registrati 1.787 casi di epatite Aa che rappresentano oltre il 95% del totale”.
Il Ministero della salute dichiara di avere informato i cittadini rilasciando interviste a diverse riviste a costo zero e “in tempi ristretti considerando il carattere di urgenza che la questione richiedeva”.
La locandina diffusa dal Ministero
Informazione insufficiente secondo La Pira: “L’epidemia è rimasta una vicenda sconosciuta per decine di milioni di italiani, che hanno continuato a mangiare tranquillamente frutti di bosco e dolci preparati con questi frutti ignare del pericolo. A mio parere il Ministero non ha saputo fare una corretta valutazione del rischio. C’è voluta un’interrogazione parlamentare per capire fino in fondo la gravità dell’epidemia durata 24 mesi”.
La risposta del Ministero (vai all’allegato 4)
a cura c.fo – 7 febbraio 2015