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Fukushima, ora si temono mutazioni genetiche pesci

TOKYO – Il rischio maggiore di contaminazione radioattiva per i cibi, dopo l’incidente alla centrale nucleare giapponese di Fukushima, riguarda soprattutto il pesce proveniente dai mari giapponesi.

Dalle fughe radioattive legate alle centrali nucleari nipponiche messe ko dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo, «nessun rischio» si paventa invece per l’Italia, afferma il nostro ministero della Salute che, sulla base dei rischi teorici legati all’import di cibo dal Giappone, ha disposto l’aumento dei controlli soprattutto su pesci, crostacei, caviale, soia, alghe, tè verde.

SOS PESCE La radioattività in mare, spiegano gli esperti, ha effetti nell’immediato soprattutto sui molluschi che, come cozze e ostriche, filtrando l’acqua finiscono per accumulare radionuclidi. Nel medio periodo, invece, il problema coinvolge i grandi pesci al vertice della catena alimentare marina: questi sono infatti più esposti perchè la contaminazione tende ad aumentare man mano che gli animali più piccoli vengono mangiati dai predatori. Per l’uomo, il rischio a livello alimentare deriva dal fatto che le particelle contaminate entrano nella catena alimentare e vi permangono, perchè non possono essere eliminate nè neutralizzate dall’organismo. Il consumo prolungato di alimenti anche debolmente contaminati, affermano gli esperti, costituisce un pericolo, perchè le particelle radioattive si fissano nell’organismo, accumulandosi in genere in organi diversi a seconda della loro specificità (lo iodio radioattivo, per esempio, si fissa nella tiroide). Questo può avere conseguenze serie, determinando patologie come leucemie e tumori. Normative internazionali indicano i livelli massimi di radioattività che si possono riscontrare negli alimenti perchè non costituiscano un danno per la salute.

SI TEMONO MUTAZIONI Dalle alghe microscopiche ai grandi tonni, tutti gli organismi dell’ecosistema marino sono minacciati dalle radiazioni liberate dalla centrale di Fukushima, e con la decisione delle autorità giapponesi di rilasciare in mare quantità di acqua radioattiva l’attenzione degli scienziati si sposta in fondo all’oceano. Anche se la diluizione dovrebbe mettere al riparo le aree lontane dall’impianto, per l’ecosistema della regione la crisi potrebbe sfociare in una vera tragedia, destinata ad avere ripercussioni per molti anni. «Questa – afferma il biologo marino Silvio Greco – è una vera e propria catastrofe, perchè i radionuclidi agiscono sul Dna, quindi oltre alla mortalità immediata ci sono effetti a lungo termine. Quantificare il danno è molto difficile, perchè gli unici studi scientifici sono stati fatti dopo i test nucleari degli anni ’50 e i risultati sono segreti, ma si possono ipotizzare scenari veramente tragici».

PER I PESCI MUTAZIONI GENETICHE Il danno principale per l’ecosistema sono le mutazioni nel Dna degli organismi marini: «Il contatto con le sostanze radioattive pu• provocare delle ‘mutazioni bizzarrè nella progenie dei pesci – spiega al National Geographic Joseph Rachlin, direttore del Lehman Colleges Laboratory for Marine and Estuarine Research di New York – che si riflettono nella loro capacit… di riprodursi. Ancora più sensibili sono uova e larve dei pesci, che possono sviluppare mutazioni letali».

ALGHE E PESCI ACCUMULANO LE SOSTANZE RADIOATTIVE Gli isotopi principali che stanno contaminando l’area sono iodio e cesio, anche se si teme che anche plutonio e altri radionuclidi pesanti possano essere finiti in mare. Il primo non desta particolare preoccupazione perchè ha un’emivita molto breve, mentre il cesio si dimezza in 30 anni, e il plutonio in tempi dell’ordine delle migliaia di anni: «Queste sostanze inoltre si accumulano nei tessuti, come altri inquinanti – spiega Greco – quindi è possibile trovare negli animali concentrazioni molto maggiori di quelle ambientali». Secondo alcuni studi dell’Aiea un pesce esposto al cesio lo accumula per un fattore 100, mentre le alghe del genere Porphyra hanno un fattore 50 per questo elemento, mentre per il plutonio è addirittura 4mila. Anche i molluschi ed altri invertebrati come le meduse, per la loro caratteristica di ‘filtrarè l’acqua, sono particolarmente a rischio.

I RADIONUCLIDI ‘INTRAPPOLATI’ NEI SEDIMENTI Anche se le correnti e la grande massa d’acqua dell’oceano potrebbero diluire velocemente le sostanze radioattive, queste potrebbero restare intrappolate nei sedimenti sul fondo del mare: «I sedimenti sono la ‘memoria storicà del mare – continua Greco – tutto quello che è presente nella colonna d’acqua prima o poi finisce sul fondo, e lì rimane, entrando a poco a poco nella catena alimentare. Questo vuol dire che gli effetti potrebbero durare anche migliaia di anni, nel caso degli elementi più pesanti».

IL PRECEDENTE DI CHERNOBYL Nel caso di Chernobyl non ci sono state ripercussioni su ecosistemi marini, tutti troppo lontani dal luogo dell’incidente. In laghi e altri bacini chiusi, però, uno studio dell’Onu ha trovato tracce di sostanze radioattive nei pesci ancora nel 2000, 14 anni dopo il disastro.

Leggonline.it – 4 aprile 2011

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