A novembre previsto un recupero rispetto al dato del mese precedente e un altro calo tendenziale dell’1,9%. Perilquartomese consecutivo anche a ottobre la produzione industriale italiana torna a indebolirsi, un calo del 3% su base annua che rappresenta il peggior datodall’agostodel2013.
Nonunanube passeggera, quindi, ma la conferma della debolezza dell’attuale congiuntura,cheperbenseimesisudieci nel 2014 ha inserito il segno meno davanti al dato della produzione industriale, con il risultato di spingere ancora più in basso il bilancio da inizio anno. I deboli segnali di crescita dei primi mesi si sono progressivamente annullati fino a portare a -0,8% il saldoproduttivodeiprimidiecimesi del 2014. Per invertire il trend e riportare almeno alla pari il bilancio 2014 servirebbero due mesi sprint, fatto quanto mai improbabile anche alla luce delle stime disponibili, con il centro studi di Confindustria che indicaanovembreunrecuperomarginale su base mensile ma un calo tendenzialedell’outputdell’1,9%, congli indicatori qualitativi a confermare un quadro di «estrema debolezza perl’industria» eordininazionaliancora in calo: un quadro «coerente con un marginale arretramento del Pil anche in autunno». Scorrendo i datiIstatdeimesiscorsi, amitigarein parte il pessimismo provvedeva la brusca frenata dell’energia, scorporandolaqualedalcalcolosiscoprivano numeri migliori in ambito manifatturiero “puro”. Così non è a ottobre,perchélafrenatadel3%èconfermata anche a questo livello, per effetto in particolare della caduta dei beni di consumo non durevoli (-4,4%) e dei beni intermedi, cioè la componentistica, giùdel4,2%. Subase annua beni durevoli e strumentali contengonoilcaloallo0,7%mainentrambi i casi si tratta della seconda frenatamensileconsecutiva,cosìcome negativo in entrambi i casi è il bilancio dall’inizio dell’anno. Ci si può consolare guardando al confronto con settembre, ai dati mensili destagionalizzati (-0,1% la media), dove qualche segnale di vitalità è visibile per beni di consumo e strumentali, masitrattadipocacosa:ilclimagenerale resta negativo e le eccezioni si contano (avanzando anche qualcosa) sulleditadiunamano.
Tra i pochi segnali positivi di ottobre vi è la crescita dei mezzi di trasporto e del comparto elettronico, mentre tessile-abbigliamento e chimica riescono a contenere i danni chiudendo il mese sugli stessi livelli del 2013. Per il resto il comunicato Istatèunalungateoriadisegnimeno, in qualche caso a doppia cifra, come per farmaceutica e apparati elettrici. Preoccupante, per la vastità dell’impattosiainterminiproduttivicheoccupazionali, è il segno meno della meccanica, con un calo di quasi tre puntipermacchinarieattrezzaturee del 4,9% per metallurgia e fabbricazionediprodottiinmetallo.Persinoil settorealimentare,anticiclicopereccellenza, paga dazio alla crisi dei consumiriducendol’outputdell’1,9%,arrivando quasi ad azzerare la crescita dall’iniziodell’anno.Ildatodiottobre per l’industria italiana è particolarmente negativo soprattutto perché aggrava il bilancio 2014, ora negativo dagennaioancheperlacomponente manifatturiera “pura”, escludendo dal calcolo l’energia. Comparto, quest’ultimo, che continua a subire lo shock congiunto del calo dei consumi e dell’inserimento progressivo delle energie rinnovabili, con il risultatodivederelivelliproduttiviincalo ormaida19mesiconsecutivi.
Negativi, e non potrebbe essere diversamente, i commenti degli economisti. Per Sergio De Nardis di Nomisma « l’ultimo trimestre ha un iniziopiùdeludentedelleatteseetaleevoluzione–senoncorrettainnovembre-dicembre – non inciderà tanto sul Pil conseguibile nel 2014, quanto sull’abbassamento della base di partenza per il 2015: data l’entità dei numeri della ripresa di cui si sta parlando, un trascinamento sul prossimo anno, anche debolmente negativo, potrebbe cancellare un quarto e più della crescita attesa dai previsori per il 2015». L’industria, – aggiungeilsenioreconomistdiIntesaSanpaoloPaoloMameli–, chedovrebbeessereilsettoreabeneficiare maggiormente dell’indebolimento del cambio e del calo delle quotazioni delle materie prime, non sembra ancora in grado di traghettare il resto dell’economia fuori dalla recessione. L’Istituto stima comunque che uno shock simultaneo del 10% sulle quotazioni del cambio e del greggio possa aggiungere in media nell’anno successivo almeno uno 0,5% alla crescita del Pil italiano. «Potrebbe essere solo questione di tempo – si legge nella nota – affinché questo impatto si manifesti, ma a tal fine occorre un più marcato miglioramento degli indici di fiducia, con il morale delle imprese manifatturiere che ha mostrato un rimbalzo solo modesto negli ultimi due mesi».
L’alimentare resta al palo. Il comparto risente del prolugato rallentamento dell’export
Frena il food made in Italy e frena anche la produzione industriale. A ottobre la produzione dell’industria alimentare ha recuperato, secondo le rilevazioni dell’Istat, un +0,7% sul mese precedente, ma ha perso l’1,9% rispetto all’ottobre dell’anno prima.
Nei primi nove mesi del 2014 però la crescita cumulata è stata di mezzo punto percentuale. «Purtroppo la lunga frenata del nostro export – spiegano dall’ufficio studi di Federalimentare – o meglio la decelerazione degli ultimi anni, sta influenzando anche il ritmo della produzione. Peraltro la caduta della domanda interna si è talmente assottigliata da risultare pressoché stabile». Anche se dal 2007 ha perso ben 14 punti percentuali, di cui solo tre l’anno scorso.
La chiave di lettura della debolezza dell’alimentare i t ali ano sta quindi i n un export che ha perso smalto, anche per l’embargo russo scattato lo scorso 7 agosto e il rallentamento dei mercati emergenti. Nel 2012 l’export tricolore balzò del 10%, nel 2013 del +5,8% e quest’anno siamo sul filo del +2,5%.
In particolare, il vino italiano, che quest’anno dovrebbe confermare i 5 miliardi di export del 2013, ha perso la velocità di espansione di qualche anno fa. E il vino è un peso massimo: incide per il 20% sui 26 miliardi di esportazioni del 2013.
Mantengono invece un buon ritmo di crescita gli altri driver del made in Italy: caseari, conserve vegetali, insaccati, dolciario. «Oggi – sottolineano dall’ufficio studi di Federalimentare – i mercati europei risultano addirittura più brillanti degli extra Ue. Questo la dice lunga sulla precarietà di quei mercati».
In generale, il peso delle esportazioni sul fatturato dell’alimentare, in un decennio, è quasi raddoppiato, passando dal 13% del 2003 al 20% del 2013. Ma siamo ancora lontani da competitor come Spagna (22%), Francia (28%), e, soprattutto, Germania (32%).
E quest’anno? Secondo Federalimentare si chiuderà con una mini crescita della produzione industriale, forse agevolata dal svalutazione dell’euro.
Il Sole 24 Ore – 12 dicembre 2014