L’orso di un anno e mezzo che ha deciso di vivere sul Baldo è nato in Trentino, la madre DJ3 è stata catturata perché troppe volte si era avvicinata alle case. A soli sei mesi vagava denutrito a bordo strada, sfuggito a un maschio che voleva ucciderlo. È stato curato per 38 giorni
Ha già avuto un’infanzia difficile M11, il giovane orso che da tre mesi è stanziale sul Monte Baldo e che con sempre maggior frequenza si fa vedere da turisti ed escursionisti, entusiasti per la confidenza che sta dimostrando davanti agli obiettivi. Forse è importante conoscere la sua storia per non rendergli difficile, se non impossibile, anche il resto della sua vita. «Non ci sono prove genetiche che confermino che l’orso del Baldo sia effettivamente M11, ma dalle fotografie raccolte e da alcuni segni che lo caratterizzano possiamo dire con una probabilità vicina al 90 per cento che si tratti effettivamente di lui», precisa Claudio Groff, coordinatore del Rapporto Orso 2011 del Servizio foreste e fauna della Provincia Autonoma di Trento. La storia di M11 è dettagliata in una scheda da Alberto Stoffella, agente forestale che lo aveva curato come unica balia nel Centro di Casteller. L’orsetto, di appena sei mesi, era stato visto girare da solo, addirittura filmato da una bambina in Val di Manez e la storia di quel cucciolo orfano aveva fatto il giro delle televisioni nazionali. Infatti la mamma, DJ3, era stata catturata una settimana prima perché era risultata un’orsa problematica, che aveva visitato ripetutamente alcuni centri abitati, nonostante le numerose attività di dissuasione condotte nei suoi confronti nell’ultimo triennio, e si era resa responsabile di una strage di pecore in pieno giorno, a ridosso dell’abitato di Fisto, nel comune di Spiazzo Rendena. La cattura e il trasferimento al centro di Casteller era avvenuta quando già M11 era stato allontanato dalla madre da almeno una ventina di giorni, presumibilmente per iniziativa del maschio MJ5, che in questo modo cercava di indurre di nuovo l’estro nella femmina per potersi accoppiare. Infatti i piccoli restano con la madre almeno fino al compimento dei 18 mesi, «ma non sono rari i casi di cannibalismo dei piccoli, da parte dei maschi adulti, proprio per accelerare la possibilità di tornare ad accoppiarsi con le femmine, rese così libere dall’incombenza dell’allevamento», spiega Groff. Dunque M11 si sarebbe salvato fortunosamente da morte quasi sicura e vagando solitario lontano dalla madre era stato visto apparentemente disorientato, muoversi ai margini della strada provinciale della Val Rendena: le condizioni debilitate e l’elevato rischio di investimenti avevano consigliato la cattura dell’orsetto (raccolto con le mani dal personale del Corpo Forestale Trentino e in quel periodo chiamato Lorenzo) e il trasferimento nell’area attrezzata al centro vivaistico di Casteller, sopra Trento. Pesava sette chilogrammi scarsi, era molto debilitato ma non presentava ferite. M11 È stato identificato geneticamente come figlio dell’orsa DJ3 e del maschio JJ5 e grazie a questo è stato possibile dimostrare per la prima volta una riproduzione da parte di un maschio nato in Trentino, JJ5 appunto, tra l’altro di soli quattro anni e mezzo quando si era accoppiato. Per M11 cominciava a Casteller l’esperienza di riabilitazione per il recupero e il reinserimento in natura, mai tentata prima in Trentino, «adottando le linee guida della Wspa (World Society for the Protection of Animals) che, grazie all’esperienza più che ventennale nel recupero di cuccioli di orso, ha fornito informazioni per quanto riguarda l’alimentazione ma soprattutto sulle corrette tecniche di detenzione, al fine di minimizzare il fenomeno dell’imprinting con l’uomo, condizione fondamentale per poter realizzare poi un possibile rilascio in natura dell’animale. Utili indicazioni sono pervenute inoltre anche dai colleghi che lavorano sugli orsi in Scandinavia e nei Balcani», riferiscono i forestali trentini. Il periodo di recupero è durato complessivamente 38 giorni, con la presenza di un solo operatore che si tratteneva sul posto il tempo minimo per le pulizie e la somministrazione del cibo, ricco di calorie e molto vario, fatto trovare in luoghi diversi, magari nascondendolo nelle cavità di un tronco o con rami di frutta appesa, perché le condizioni fossero il più naturali possibili. Il segnale che era arrivato il momento della liberazione è stato quando M11, dopo essersi ripreso e aver triplicato il suo peso, ha cominciato a rifiutare il cibo e a muoversi in maniera frenetica, cercando possibili vie di fuga dal recinto. Narcotizzato, è stato trasferito in elicottero nel Brenta meridionale, provvedendolo solo di un microchip identificativo. Per due mesi aveva fatto perdere le tracce comparendo poi nei pressi del rifugio Roda, sulla cima della Paganella, presso il lago di Cei (gruppo Bondone-Stivo) e il 21 ottobre a Loppio, nel limite sud del massiccio dello Stivo, vicino a Riva del Garda, e nord di quello dell’Altissimo. Il resto è storia recente: M11 ha dimostrato di saper sopravvivere all’inverno e al momento del risveglio ha preferito il massiccio del Monte Baldo, dove si muove con naturalezza. Potrebbe decidere di non restare, come hanno fatto altri orsi in precedenza, allontanandosi al momento della ricerca di una femmina, che però potrebbe a sua volta arrivare sul Baldo. Ma allora ci sarebbe un’altra storia, stavolta d’amore, da scrivere.
L’Arena – 9 agosto 2012