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Giovani in fuga verso l’estero, record di Veneto e Lombardia. La Cgil: «Ambizioni frustrate». Il sociologo: «Non è tragedia»

Nell’ultimo anno 8743 cittadini veneti si sono trasferiti all’estero, un numero inferiore, in Italia, agli emigranti della sola Lombardia (16.418), e di questi 2.145 hanno un’età compresa fra i 30 ed i 40 anni. Il dato si aggiunge ai 57.741 che avevano già cancellato la residenza italiana fra il 2001 ed il 2012, secondo un trend che ha portato il numero di veneti ad abbandonare le patrie frontiere in quote annue cresciute dai 3.322 dell’inizio del decennio ai 12.371 finali.

Sono dati ufficiali dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire), il cui aggiornamento al 2013 è stato pubblicato ieri, e che ripropongono ancora una volta gli interrogativi sul perché il nostro sia sempre di più un paese per vecchi. L’argomento era stato al centro, nel marzo scorso, del congresso regionale della Cgil, a Verona, nel quale si era evidenziata anche una conseguenza importante della crisi sulla dimensione demografica della regione. Se la popolazione complessiva, infatti, è rimasta tutto sommato abbastanza stabile poco sotto i 4,9 milioni fra il 2008 ed il 2012, appare spiccato il depauperamento della fascia d’età fra i 16 ed i 26 anni (da 462 a 457 mila unità) e, soprattutto, dei giovani fra i 26 ed i 35 anni, scesi da 671 mila a 567 mila.

I quali, per semplificare, più che di persone alla ricerca di un lavoro purchessia sarebbero soggetti di elevata formazione non disponibili ad accettare, in Italia, posizioni lavorative non all’altezza della loro formazione e delle loro ambizioni. Ancora più schiettamente, i famosi «cervelli in fuga».

«Stiamo letteralmente sprecando occasioni e talenti – è il punto di vista della nuova segretaria generale della Cgil del Veneto, Elena Di Gregorio – e c’è da indignarsi. Lo andiamo dicendo da tempo ma è come gridare nel deserto. Il “mismatch” fra le potenzialità di questi giovani e l’offerta lavorativa deve essere presa seriamente in mano da una regia, nella consapevolezza che il modello Nordest ha da anni concluso la spinta propulsiva ma che il Veneto rimane pur sempre la seconda regione manifatturiera ed è una terra ancora ricca di saperi». E chi dovrebbe assumere il ruolo di guida, per Di Gregorio, è in prima battuta la Regione Veneto. «Come organizzazioni sindacali e associazioni d’impresa abbiamo presentato di recente un documento con proposte che possano intrecciare le politiche della formazione con i nostri principali atout, vale a dire manifattura e turismo. Stiamo aspettando».

A quali angoli del mondo puntino in prevalenza i giovani emigranti veneti è presto detto. Da qualche anno c’è il boom dell’Australia mentre il Canada conserva la sua attrattività tradizionale. Nel Vecchio Continente, senza sorpresa, la vicina Germania rimane inossidabile. Ulderico Bernardi, sociologo e grande studioso dei fenomeni migratori, non fa mistero di essere infastidito dell’espressione «fuga di cervelli». «Anche perché – aggiunge – non se ne parla molto ma sono in tanti quelli che tornano in Italia delusi. Al di là di questo, però, dietro lo stimolo dei giovani a partire non c’è per forza la manifesta impossibilità di trovare una collocazione adatta ma la semplice e naturale curiosità di conoscere il mondo, che è uno stimolo molto importante. Non dobbiamo dimenticare che la grande trasformazione socioeconomica veneta dagli anni ’60 del secolo scorso è stata favorita dal rientro di persone emigrate che all’estero si erano arricchite di esperienza e di voglia di rischiare e fare impresa. E’ la scintilla che ha acceso molta parte della nostra piccola imprenditoria».

Va detto che erano altri tempi e che l’Italia di oggi non è probabilmente l’ambiente più ospitale per i nuovi capitani d’azienda. «Certamente gli emigranti di ritorno di 50 anni fa erano anche incentivati da un contesto sociopolitico migliorato, cosa che oggi non c’è. Purtroppo questa crisi – conclude Bernardi – non ha fatto comprendere ai decisori politici che se si perde la spontanea vocazione al far da sé, il Veneto non potrà mai tornare quello di prima».

Gianni Favero – Corriere del Veneto – 11 maggio 2014 

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