C’è un buco di due miliardi di euro nei conti pubblici italiani. E torna ad affacciarsi il rischio concreto di una procedura. Il problema non è la «manovrina» da 3,4 miliardi: a Bruxelles c’è ottimismo sul fatto che il decreto correttivo possa servire a ridurre dello 0,2% del Pil il deficit come richiesto. Il nervo scoperto è la flessibilità ottenuta nel 2016, in particolare quella legata alla clausola per gli investimenti. Si tratta di quattro miliardi di bonus (lo 0,25% del Pil), concessi a una condizione che però l’Italia pare non aver rispettato.
Il Patto di Stabilità stabilisce che la spesa per gli investimenti pubblici non deve diminuire nell’anno in cui viene concessa flessibilità. E invece quella italiana è passata dai 37 miliardi del 2015 ai 35 del 2016. Nella sua memoria difensiva il governo spiega che la riduzione è frutto di una riduzione dei fondi europei, che vengono utilizzati in co-finanziamento. Ma a Bruxelles non sembrano convinti. La valutazione è in corso e una decisione non è stata presa. Le date-chiave sono due: giovedì 11 maggio la Commissione pubblicherà le previsioni economiche; mercoledì 17 ci saranno le raccomandazioni specifiche per i Paesi della zona euro. E l’avvio di una procedura potrebbe rivelarsi inevitabile. Una fonte vicina al dossier spiega che non ci sono spazi per rimediare, nemmeno con uno sforzo di correzione aggiuntivo. Semplicemente cadrebbe la flessibilità ottenuta un anno fa – tutta o in parte, questo va ancora misurato – e l’effetto potrebbe essere una «deviazione significativa» nei conti del 2016. Tradotto: una violazione delle regole del Patto e dunque una procedura, quella che in gergo si chiama Edp. A questo si aggiunge il rischio di un’altra procedura per squilibri macro-economici, legata alla mancata attuazione delle riforme, che rimane all’orizzonte. Fin qui la valutazione tecnica, che verrà accompagnata da una soluzione politica. La questione si intreccerà con la trattativa sulla manovra d’autunno e la strada per ottenere più flessibilità, dopo non aver rispettato le clausole per le quali era stata concessa nel 2016, parte in salita. Sulla carta potrebbe non essere nemmeno necessario chiedere nuova flessibilità, visto che Pier Carlo Padoan si è impegnato con i commissari Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis a migliorare i conti con uno sforzo strutturale dello 0,6% del Pil, come richiesto dal Patto di Stabilità. «Ma abbiamo seri dubbi che l’Italia riesca davvero a portare il deficit all’1,2% come indicato nel Def» commenta una fonte dopo che una missione di tecnici la scorsa settimana si è recata a Roma.
Nei corridoi della Commissione c’è però chi vede uno spiraglio sui conti pubblici. La vera preoccupazione in questo momento è un’altra: le banche. Bruxelles teme di più il fallimento dei negoziati su Mps e sui due istituti veneti che non gli «zero virgola» del bilancio. E un punto di incontro sul tavolo delle banche, assicurano dal Palazzo Berlaymont, aiuterebbe a oliare anche la discussione su quell’altro.
La Stampa – 25 aprile 2017