Da una parte, il «film horror» del demansionamento che fa precipitare ruolo e dignità del medico ridotto a «bancomat della sanità», fattore produttivo schiacciato dalla burocrazia e costretto al precariato a vita da blocchi del turnover, scarsità di risorse e mala gestione. Dall’altra parte, un servizio sanitario “colabrodo”, polverizzato dalla riforma del Titolo V che quattordici anni fa ha dato vita a ventuno diverse gestioni della salute, che mettono a rischio parità ed equità d’accesso dei cittadini alle cure.
Per non parlare delle ultime micce accese: le sanzioni economiche ai cattivi prescrittori previste nel decreto sull’appropriatezza targato ministero della salute e le sanzioni, questa volta disciplinari, che il nuovo Piano vaccini introduce per i camici bianchi che disincentivino i pazienti alla profilassi.
E chi più ne ha più ne metta: i mal di pancia dei medici sembrano non aver più fine. Per la prima volta uniti dopo decenni di partigianerie, i dottori d’Italia, dagli ospedalieri ai convenzionati ai liberi professionisti hanno tenuto ieri, a Roma, i loro Stati generali. In un periodo caldissimo, tra la legge di Stabilità che fa capolino in Parlamento, le nuove norme sulla responsabilità professionale sanitaria e la riforma costituzionale che redistribuisce le competenze tra Stato e Regioni, anche in materia di salute.
La misura è colma, annunciano i dottori. All’insegna dello slogan “Una sanità a pezzi. Regione che vai, sanità che trovi”, puntano a «cambiare ciò che non va», ha spiegato Roberta Chersevani, presidente della Federazione nazionale dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo), promotrice della giornata. Uniti alla meta, i medici cui la ministra della salute Beatrice Lorenzin tende più che mai la mano – «la sanità in questi anni di crisi è stata tenuta in piedi dal loro sacrificio» – annunciano una fiaccolata per il 28 novembre e non escludono uno sciopero di massa.
La carne al fuoco è sintetizzata nel decalogo faticosamente concordato a chiusura degli Stati generali. Non è più il tempo della diplomazia, tagliano corto i medici. Che in cinque “no” e in cinque “sì” mandano un messaggio chiaro e forte al governo: no al sottofinanziamento che smantella i servizi al cittadino, no alla sanità per decreti e a protocolli di stato suggeriti da chi è lontano dalla relazione quotidiana con le persone, no agli obblighi amministrativi che tolgono tempo alla relazione di cura, no a una formazione che non si confronta con i bisogni di salute, no a una politica ostile al medico. Poi, i “sì”: a una professione libera di curare in un Ssn che offra equità e pari opportunità d’accesso, a una formazione appropriata, a un’informatizzazione utile. Sì, infine, alla verifica tra pari dei comportamenti professionali e alla meritocrazia, sì ai medici con le persone.
Sullo sfondo, quei nuovi livelli essenziali di assistenza che la legge di Stabilità dovrebbe finalmente condurre in porto. E sulla cui piena attuazione in un’ottica di equità il Parlamento «farà quadrato» come ha promesso ieri la presidente della commissione Igiene e Sanità Emilia Grazia de Biasi intervenuta al convegno.
Barbara Gobbi – Il Sole 24 Ore – 22 ottobre 2015