Governo, la rottura. Mercoledì in Aula il premier Letta chiederà fiducia fino al 2015
Vertice al Colle: elezioni solo se non c’è alternativa Il Cavaliere apre sulla manovra, crepe nel Pdl. Stabilità Anche Alfano si dissocia da Berlusconi. Napolitano chiede «stabilità», Berlusconi va in tv: «E’ un imbroglio»
Tre decisioni prese in un’ora e venti di colloquio al Quirinale, tra Giorgio Napolitano ed Enrico Letta: verifica in Parlamento, con voto di fiducia, mercoledì mattina prima al Senato e poi alla Camera; discorso per un rilancio dell’azione di governo fino al 2015; e, soprattutto, Letta non si presenterà dimissionario. Del resto, «come faccio a dimettermi io, se non si capisce nemmeno se i ministri si son davvero dimessi?». E questo perché, nonostante il fax che almeno Gaetano Quagliariello giura di aver spedito, le dichiarazioni di dissenso che accompagnano la rinuncia al dicastero sono tante e tali da contraddire sostanzialmente il gesto. Compreso Angelino Alfano che ora dice di sentirsi «diversamente berlusconiano», e chissà cosa vuol intendere.
Tutto come previsto, si dirà, compreso un certo piglio tra presidente e premier nell’affrontare una crisi che, non fosse che mette a repentaglio l’Italia e anche a rischio di nuovo la zona euro e la zona dollaro -come ieri rilanciavano i giornali di tutto il mondo avrebbe non pochi tratti di stramberia. A cominciare da Silvio Berlusconi, che dopo aver tuonato come un’Erinni terremotando il governo, il Parlamento e le istituzioni tutte, ieri a metà pomeriggio -con un comunicato- asseriva di esser pronto «a votare tutto, legge di stabilità, provvedimenti economici…». Ma come, hanno udito sospirare in fine giornata un esterrefatto ed estenuato Giorgio Napolitano, «ora vuol votare tutto? Il problema con Berlusconi è ormai che le sue intenzioni cambiano più volte al giorno…». E anche per non seguire il pendolo berlusconiano, da tempo Napolitano e Letta hanno stabilito di non mutare di una virgola le rispettive agende: si va avanti lavorando per il Paese. Lasciando ad altri, per così dire, il monopolio dell’ammuina.
In effetti, l’ultima versione tonitruante era andata in scena giusto ieri in fine mattinata. A Napoli, mentre Napolitano avvertiva che «Il presidente della Repubblica concede lo scioglimento delle Camere quando non c’è la possibilità di dar vita a una maggioranza e ad un governo per il bene del Paese», e cioè che mai e poi mai gli avrebbe concesso le agognate urne con le quali scavallare la decadenza da senatore, Berlusconi aveva provveduto a collegarsi telefonicamente con un albergo situato proprio a poche centinaia di metri rispetto al luogo in cui Napolitano parlava, dove alcuni suoi sodali guidati da Carfagna e Nitto Palma stavano porzionando due torte di compleanno, una per il genetliaco suo una per la ri-nascita di Forza Italia.
Come che sia, al quarto giorno della crisi, prende corpo la via per una soluzione possibile. Le decisioni prese con Letta, Napolitano le aveva lasciate ampiamente intravedere al mattino. Il comunicato finale del Colle recita che si va alla verifica in Parlamento «sede propria di ogni risolutivo chiarimento», dove il premier «illustrerà le proprie valutazioni sull’accaduto e sul da farsi», e il tutto a seguito di fatti che hanno «determinato un clima di evidente incertezza circa gli effettivi possibili sviluppi della situazione politica». Frase che ha due parallele letture possibili: le torsioni di Berlusconi che hanno portato alle dimissioni dei ministri e alle crepe interne al Pdl lasciano aperta ogni possibile soluzione, e tra queste anche quella positiva.
Ma al mattino, Napolitano aveva seminato indizi: «cercherò di vedere, in questa fase un po’ criptica, se ci sono le possibilità per il prosieguo della legislatura, studiando bene tutti i precedenti di crisi analoghe o simili, a partire dalla crisi del secondo governo Prodi».
Il presidente del Consiglio Prodi nel gennaio 2008 non si dimise ma si presentò in Parlamento e andò alla conta, non superando il voto di fiducia, proprio dopo che un ministro, unico rappresentante di una forza politica che sosteneva la sua maggioranza, d’improvviso decise di ritirarsi dal governo, in quel caso non assicurando nemmeno l’appoggio esterno. Letta forse potrebbe farcela. Altrimenti, avverte Napolitano, si preparano anzitutto le procedure costituzionalmente previste per dare un governo al Paese. Non la convocazione dei comizi elettorali.
La Stampa – 30 settembre 2013