Eleonora Vallin. Il Grana Padano è pronto alla grande sfida cinese. «Un mercato enorme da cui non si può restare fuori anche se è molto lento nel cambio delle abitudini alimentari» spiega Stefano Berni, direttore del Consorzio che riunisce 200 soci di cui 136 caseifici produttori per 40mila addetti distribuiti lungo la Pianura Padana. «Russia e Giappone sono oggi i mercati più incoraggianti con crescita a doppia cifra – continua il manager -. Dobbiamo conquistare l’Oriente, mantenendo con forza i nostri presidi europei soprattutto in Inghilterra, Francia, Spagna, Austria e Benelux».
È la Germania (+9,5% sul 2012) il primo Paese nell’export di Grana padano, che è la Dop più richiesta al mondo, seguita dagli Usa (+4,5%). Le vendite oltre confine del Consorzio, che nel 2013 ha fatturato all’ingrosso 1,79 miliardi in linea con il 2012, rappresentano il 34,1% dei ricavi (+6,5% per 1,5 milioni di forme) con una marginalità più alta, visto che i prezzi al consumo sono quasi doppi rispetto al Bel Paese. Se in Italia infatti il costo medio al consumatore è di 12,2 euro al Kg in Russia e Giappone può sfondare quota 25. Così su 2,5 miliardi (totale vendite al consumo) oltre un miliardo viene da fuori confine, ma il guadagno va tutto in tasca alla distribuzione straniera. «Il prezzo all’ingrosso nel 2013 è stato di 7,40 euro pre-confezionamento – conferma Berni – considerata questa la base, il moltiplicatore all’estero del 70% è rilevante».
La crisi non ha intaccato il Consorzio che nel 2013 ha prodotto 4,56 milioni di forme con un saldo positivo nonostante il calo dell’1% del mercato Italia. Nessuna concorrenza con il Parmigiano Reggiano, «i mercati sono complementari» dice Berni, mentre si sono distesi i rapporti con il Gran Moravia che «ormai da tempo specifica la produzione in Repubblica Ceca» precisa: «Noi chiediamo trasparenza e chiarezza, perché il consumatore deve essere informato e consapevole».
Vale invece un miliardo il mercato della contraffazione, 700 milioni solo all’estero. «Sono più che altro ’scopiazzature’ – precisa il dirigente – pratiche legali ma sleali di produzioni che millantano l’italianità senza rivelare la provenienza». Come contrastarle? «Nell’attesa di una riforma comunitaria che inserisca nell’etichetta l’origine del prodotto, abbiamo chiesto al ministro dell’Agricoltura italiano una legge per separare nella Gdo i prodotti Dop e Igp dai similari, ponendoli in scaffali diversi e ben segnalati. Una pratica in uso, per legge, dal 2009 sui panettoni rispetto altri dolci generici». In Italia il settore Dop e Igp è rilevante e il Bel Paese copre il 40% delle certificazioni Ue, il 20% sono francesi, il resto altri stati. Solo l’aceto balsamico fa 600 milioni di fatturato. Ma i più grandi consorzi restano: Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Crudo di Parma e San Daniele. E ora c’è la prova Expo 2015. «Un’occasione formidabile – chiude Berni – il nostro impegno sarà rilevante». Grana Padano ha già previsto un investimento di 2 milioni di euro.
La Stampa – 12 maggio 2014