Marco Moretti. «Dare la mancia non è un costume di questo Paese, per favore non fatelo» recita l’avviso all’immigration dell’aeroporto di Auckland, Nuova Zelanda. A Sydney, Australia, se il tassametro segna 15 dollari e 20 il tassista vi chiederà solo 15 dollari, se ne offrite di più l’uomo risponderà imbarazzato «no tip, thanks!», perché agli antipodi si pensa che i salari siano adeguati e la mancia sia il mix tra elemosina e corruzione.
Non la si usa neanche in Polinesia e negli altri arcipelaghi del Pacifico. In Giappone, lasciare gli spiccioli di resto o premiare con denaro un buon servizio è poco elegante o persino offensivo. I nipponici offrono una prestazione di massimo livello per codice etico non per bonus monetari, per ringraziarli basta un arigatò o un inchino.
Insomma in alcuni Paesi a essere gentili (secondo il nostro uso) si passa per maleducati o arroganti. Perché lasciare o meno una regalia non è solo questione di generosità o tirchieria, ma soprattutto di galateo, convenzioni, valori, etica. All’opposto del Giappone ci sono Usa e Canada dove il tipping è parte del salario. A New York le entrate di personale alberghiero, camerieri, baristi o tassisti dipendono per oltre la metà dalle mance. È obbligatorio donare il 10-15 % (fino al 25% nei locali di lusso) in taxi, bar e ristoranti. Nei menu c’è scritto «service not included» e a volte l’extra viene incluso in automatico alla cassa. Una politica figlia della competizione: meglio mi servi più ti premio. E in caso di cattivo servizio l’etichetta prevederebbe di dare un solo cent di punizione anche se ormai il tip è omologato su percentuali standard, la ricerca di Michael Lynn della Cornell University evidenzia che il rapporto tra entità del lascito e qualità del servizio è minimo. La mancia è un automatismo, ecco perché sono i turisti i più generosi.
Anche nel vicino Messico, la «propina» è attesa da camerieri (10-15 %) e portatori di valigie: non la si dà sui taxi e nelle trattorie. Nel resto dell’America Latina si usa poco tra i locali, ma è spesso sollecitata ai turisti. «È una forma di generosità aristocratica che presuppone una disparità di posizioni tra chi dona e chi riceve» spiega l’antropologo Marino Niola. Nei Paesi in via di sviluppo il turista è il nuovo «signore», erede del colonialista agli occhi delle masse di locali diseredati, da lui ci si aspetta gratifiche.
Viaggiando in India si è ossessionati dalla richiesta di «baksheesh», il turista non riesce neanche ad avere un servizio se non dà la mancia in anticipo. Idem in Egitto, dove chiedere donazioni è uno stile di vita. Termine d’origine persiana, in uso dai Balcani fino al Sud Est asiatico, «baksheesh» indica indistintamente mancia, elemosina e tangente (corruzione), riflette la posizione d’imbarazzo in cui si trova il turista in un Paese povero, dove la compassione lo porta a donare spesso cifre enormi e controproducenti per la realtà locale.
In Cina, dove la mancia era proibita, dopo le Olimpiadi è entrata nell’uso quotidiano. In Thailandia e in Vietnam è gradita, ma non obbligatoria. Il Sudafrica è di stampo anglosassone: si lascia un 10% al ristorante. Nel resto dell’Africa si è sollecitati a dare anche per servizi improbabili. L’eredità coloniale è netta in Mozambico dove la gratifica è chiesta con «pão patrão», pane padrone, che evoca la fame. In Europa si passa dalla Scandinavia dove si usa poco dare la mancia, a Gran Bretagna, Francia, Polonia, Russia dove si lascia il 10% al ristorante. Meno frequente in Germania e Italia. Non usata dagli spagnoli che la considerano una forma di corruzione. Né in Svizzera, dove è stata abolita con la riforma dei salari degli Anni 70. Una tendenza destinata ad aumentare, secondo il sociologo Sabino Acquaviva da poco scomparso: «È espressione d’una società fatta di classi subalterne. La percezione dei clienti rispetto ai camerieri è cambiata. Gli under 30 la rifiutano come idea legata a un rapporto servitore-padrone».
La Stampa – 12 luglio 2016