«I leader del settore alimentare – dice Guido Barilla, presidente della Fondazione Barilla – hanno già compiuto passi avanti per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Tuttavia per centrare tutti i 17 obiettivi entro il 2030 abbiamo ancora bisogno di azioni concrete. Solo lavorando insieme possiamo riuscirci».
Come è nata l’idea?
È nato tutto da una collaborazione con Jeffrey Sachs, economista e professore alla Columbia University, direttore del centro delle Nazioni Unite che cerca soluzioni concrete per lo sviluppo sostenibile. Lui è innamorato dell’Italia e del made in Italy del food. Ed è molto sensibile ai problemi di obesità causati dall’alimentazione sbagliata nel suo paese. Un anno fa abbiamo intrapreso questo percorso per l’industria alimentare sulla sostenibilità perché da un lato il settore del food industriale possa contribuire a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030, e dall’altro attraverso questo percorso, che è una metodologia scientifica, le aziende possano misurare i risultati raggiunti.
Vi ponete in maniera super partes rispetto all’industria del food?
Il Barilla Center for Food & Nutrion è una fondazione che valuta lo stato delle cose, crea informazione scientifica e dà le informazioni, le indicazioni per proseguire verso una strada che viene scientificamente provata sia quella migliore. Non giudichiamo i risultati. Ma indichiamo la strada da percorrere.
La sostenibilità nell’alimentare vale per il prodotto, il modo con cui si gestisce la terra, i rapporti con i fornitori e i consumatori…
Il prodotto è da sempre centrale per noi di Barilla, dai tempi di mio padre. È la storia della mia società. Da sempre nel Dna della Barilla c’è questa attenzione. Ora da una decina di anni c’è stata una concentrazione di tutta l’azienda verso le politiche di sostenibilità. Un percorso che abbraccia tutta la produzione, dal campo, da come vengono allevati gli animali, alla logistica, il packaging fino ai mercati di sbocco. Le moderne aziende alimentari ormai non possono più limitare la loro attività al controllo del prodotto per avere successo.
La sostenibilità non mera chiave di marketing ma qualcosa di più che è legata all’autorevolezza del marchio e al ruolo, se vogliamo, dell’impresa industriale nella società civile.
È un discorso vocativo per noi, che viene prima di tutto. Noi ci abbiamo sempre creduto e non siamo partiti oggi: la Fondazione Barilla è nata dieci anni fa. Oggi è di moda la sostenibilità. Fino a ieri non erano in molti a scommetterci.
Un’impresa industriale come volano di sviluppo per il territorio. La Food Valley di Parma fa scuola in tutto il mondo.
Non siamo solo noi a Parma. Ma il legame con il territorio è importante, e un’impresa che agisce in modo sostenibile dà per forza di cose un contributo anche alla società. Uno dei pregi di Barilla è che dato il suo profilo, il fatto che è una società controllata da una famiglia, si è permessa di investire su questo percorso di sostenibilità. Abbiamo fatto grossi investimenti in questa direzione, che ci hanno visto tutti e tre i fratelli consenzienti perché riteniamo sia la strada giusta da percorrere per ragioni etiche ma anche per la sostenibilità del business.
Che cosa vuole dire?
Una cosa molto importante da sottolineare è che l’impresa deve garantire – mi passi il termine – salute finanziaria a se stessa. Questo vuol dire che l’azienda deve produrre redditività perché senza quella non esistono investimenti…
Deve riuscire a vendere.
Sì, ma non solo. Il concetto etico di sostenibilità non può che passare attraverso un’impresa sostenibile finanziariamente. Solo la sostenibilità finanziaria garantisce sviluppo, innovazione, ricerca e continuità.
Diventa chiave per il successo.
L’arte del management di chi si trova a gestire un’azienda con una visione di questo tipo è quella di riuscire a mettere insieme le due cose: puntare sulla sostenibilità e garantire risultati.
Il percorso che avete indicato in questo piano presentato all’Assemblea generale dell’Onu è rivolto a tutte le aziende alimentari.
Diamo indicazioni pratiche. Le quattro domande che abbiamo posto, i quattro pilastri, sono la sintesi del lavoro fatto quest’anno dalla Fondazione Barilla, con il Columbia Center on Sustainable Investment, l’Un Sustainable Development Solutions Network di Jeffrey Sachs, il Santa Chiara Lab dell’Università di Siena guidato da Angelo Riccobono. Offriamo delle raccomandazioni alla food industry per passare dal piano delle parole alle azioni e ai processi.
Un percorso per disegnare il futuro?
Il futuro delle imprese alimentari è dato dalla capacità di investire. Le decisioni di investimento sono cruciali per il futuro strategico delle imprese. La direzione dell’investimento non può essere sbagliata. Noi diciamo alle aziende del food che per investire nella sostenibilità se utilizzi questi criteri non sbagli direzione.
L’assurdo è che nel mondo occidentale, soprattutto qui negli Stati Uniti, l’obesità è un problema sanitario, si getta cibo e ci si ammala. Mentre nel Sud del mondo le persone sono denutrite.
A mio parere i due temi fondamentali che faranno la differenza nel futuro sono l’elettore e il consumatore. Il cittadino nelle sue funzioni di elettore perché in futuro i rappresentanti scelti dai cittadini sempre di più possano prendere le giuste decisioni. Allo stesso modo, il consumatore nelle sue scelte quotidiane indirizzerà le scelte industriali. Tutto questo avverrà se questa figura di elettore-consumatore avrà avuto l’educazione corretta. L’educazione è alla base di ogni argomento di sostenibilità. Solo una persona educata agli argomenti di sostenibilità, a partire dalle scuole di base, sarà un buon elettore e un buon consumatore.
Un cittadino attivo.
L’educazione è fondamentale per crescere persone responsabili nei loro atti, attori sociali. Insomma il cambiamento che comincia dal comportamento di ognuno di noi, dalle cose piccole a quelle grandi.