Giulio Geluardi. Degrado degli ambienti agricoli, perdita di habitat, cambiamenti climatici, pesticidi e diserbanti. Sono queste le cause per le quali il 18% dei volatili europei – 82 specie su 451, pari a quasi una su cinque – è in grave pericolo o addirittura minacciato di estinzione. Il risultato della ricerca è frutto di uno studio durato tre anni, finanziato dalla Ue e diretto da un consorzio guidato da BirdLife International (Lipu in Italia), che ha stilato la Lista rossa europea degli uccelli.
Per approntare la lista gli ornitologi e i naturalisti, oltre che biologi e veterinari, si sono spostati dagli Urali allo Stretto di Gibilterra, dall’Italia alla Grecia passando attraverso Scandinavia, Inghilterra ed Europa centrale, spesso in condizioni climatiche e ambientali proibitive. Per le ricerche hanno applicato la metodologia dell’Iucn, l’International union conservation nature, considerata come la più autorevole per valutare i rischi di estinzione.
I più in pericolo
Le specie nella situazione peggiore, appartenenti alla categoria più elevata, «critically endangered» (in pericolo critico di estinzione), sono risultate 10, tra cui la berta balearica, il chiurlottello (che ormai potrebbe essere considerato estinto, dato che dal 1999 non è stato più visto), la pavoncella gregaria e lo zigolo dal collare. Altre 29 hanno abbandonato la «zona di sicurezza» e sono entrate nella lista delle «minacciate»: tra queste, la beccaccia di mare, la gazza marina, la pernice bianca nordica, il gabbiano tridattilo e il moriglione. La situazione – denunciano gli esperti – sta peggiorando rapidamente. Rispetto a una ricerca del 2004, appena un decennio fa, in Europa aumentano le specie considerate come «minacciate» o «quasi minacciate». E altre specie già classificate «a rischio», nonostante gli sforzi dei conservazionisti, non hanno ancora migliorato il loro status: tra queste, c’è l’avvoltoio capovaccaio e altri volatili, quali il pagliarolo, la pavoncella, l’aquila anatraia maggiore e la gallina prataiola. «Il report contiene statistiche molto preoccupanti», ha sottolineato Karmenu Vella, Commissario dell’Ue per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca.
Le buone notizie
Ma c’è anche una nota di cauto ottimismo: 20 specie europee, precedentemente considerate «minacciate» a livello regionale, ora hanno migliorato il loro status e sono state quindi classificate a «minor preoccupazione». Tra queste, l’aquila di mare, il pellicano riccio, la moretta tabaccata, l’occhione, il nibbio bruno, il grillaio, la poiana codabianca, la sterna zampenere, la strolaga mezzana e anche l’otarda. Altre 25 specie sono ancora minacciate, ma ora hanno un più basso rischio di estinzione rispetto a una decade fa. Due esempi fra tutti: il petrello di Madera e il ciuffolotto delle Azzorre, una volta nella categoria in «pericolo critico».
«Tutto questo – aggiunge Vella – dimostra il valore di azioni bene indirizzate alla protezione della biodiversità, da cui dipendiamo sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista sociale grazie ai servizi che ci offrono. Bisogna trovare modi di capitalizzare su questi successi e quindi replicarli ad altre aree. L’Europa deve avere una legislazione sulla natura adatta agli ambiziosi obiettivi che si propone».
«E’ importante notare – sottolinea Ivan Ramirez, capo del settore conservazione della BirdLife International – come dalla “lista rossa” emerga che molte specie oggetto di progetti di conservazione, e supportate dalle direttive Ue e dai programmi Life, stiano ora recuperando terreno. Ma è altrettanto scioccante vedere come molte specie fino a ieri comuni ora siano minacciate».
Gli fa eco Marco Gustin, responsabile Specie e Ricerca della Lipu: « La nuova “lista” sarà uno strumento importante per decidere le politiche di conservazione. Auspichiamo che l’emergenza della biodiversità venga messa al centro degli obiettivi Ue. Leattuali direttive sono già un ottimo strumento».
“La biodiversità si può salvare. Un aiuto arriva dai satelliti”. Lo studioso del Cnr: ricostruiamo i rapporti uomo-natura
Antonella Mariotti. «Il rischio di estinzione per molti animali e molti vegetali è sicuramente alto». Antonello Provenzale è direttore dell’istituto di Geoscienze e georisorse del Cnr di Roma, dove si studiano i rapporti tra le diverse specie e gli habitat naturali. È una complessa rete di relazioni, di cause ed effetti, che in gergo tecnico è nota come «servizio ecosistemico».
Che cosa significa in pratica questo «servizio» che la natura ci offre?
«Noi studiamo i benefici alla società che un ecosistema in buona salute fornisce, dall’acqua pulita all’aria pulita. Ciò non significa che stiamo parlando di ecosistemi privi di esseri umani: in Europa, infatti, l’uomo c’è da migliaia di anni e ha creato un certo equilibrio. Un esempio sono le praterie alpine d’alta quota».
L’uomo, quindi. è anche un elemento di controllo e di equilibrio?
«A volte l’elemento di controllo finisce per portare al collasso il sistema stesso, ma, se non possiamo certo tornare agli ecosistemi prima dell’uomo, è possibile trovare un punto di equilibrio: è così che si preserva la biodiversità».
Ma qual è la soluzione migliore?
«Non l’abbiamo ancora trovata: è spesso difficile conciliare le esigenze degli ecosistemi con quelle dell’uomo. Ma, quando si parla di biodiversità, singole specie possono essere usate come “bandiera” per cambiare atteggiamento: fanno infatti presa sul grande pubblico, come è avvenuto con il panda, e attraverso il loro richiamo mediatico si possono quindi elaborare efficaci strategie di conservazione».
L’Europa cosa sta facendo in concreto?
«C’è un progetto appena iniziato: è l’Euro Potential, il più grande mai approvato, Iniziato a giugno, prevede l’uso dei satelliti per un controllo esteso. Sono già arrivate le prime immagini del Nord-Ovest dell’Italia e attraverso quelle immagini recuperiamo tanti dati preziosi sul territorio, da quelle più sfruttate dall’uomo fino a quelle protette. Per esempio lavoriamo in stretta collaborazione con il Parco del Gran Paradiso».
Come vengono poi utilizzati i dati così ottenuti?
«L’idea è indagare come funzionano i “servizi ecosistemici”, anche se siamo appena all’inizio del progetto. Questa enorme mole di dati, dalla vegetazione agli animali, servirà per monitorare le cause dei cambiamenti in corso. Tra i problemi, infatti, ci sono anche i tanti ostacoli che la natura trova sul proprio percorso. E, quindi, molti animali non riescono più a spostarsi. Restano intrappolati e così la loro sopravvivenza è gravemente minacciata».
La Stampa – 6 luglio 2015