Senato, sala della IV commissione, primo pomeriggio. Riunione di trecento (su 892) dipendenti infuriati (sia pure col contegno che si addice alla seconda istituzione della Repubblica).
Ce l’hanno soprattutto con uno dei «questori», il parlamentare Pd Benedetto Adragna, che ha annunciato un mese e mezzo fa: «Se entro il 31 dicembre 2012 non si trova un accordo, sospenderemo la progressione economica per tutto il personale dipendente». Alla fine, esce un documento che chiede alla commissione di rappresentanza (l’organismo — politico — che si occupa del personale) di trattare, di non fare ultimatum. I sindacalisti Cgil che hanno convocato la riunione (c’erano pure Cisl, Uil e sindacato dei coadiutori) dicono che la «progressione economica» non significa scatti automatici per tutti: dal 2001 sono sottoposti alla valutazione dei dirigenti, su una serie di parametri, disponibilità, capacità di iniziativa… «Temiamo soprattutto che fra i criteri per ottenere gli aumenti sia introdotta la disponibilità oraria. Già oggi abbiamo un orario di otto ore e mezzo che, se va oltre, non prevede alcun pagamento di straordinario». I dipendenti del Senato (consiglieri parlamentari, stenografi, coadiutori, segretari, assistenti) non si sentono parte della «casta», pur prendendo stipendi più alti rispetto alle stesse categorie nel pubblico e nel privato (lo stipendio medio è di circa 150mila euro). Per una serie di motivi: «Facciamo un concorso duro: all’ultimo, per assistente, c’erano 70 mila richieste per 30 posti. Non abbiamo possibilità di ricorrere a giudici terzi, ma solo agli organismi interni. Siamo qui a tutela delle regole parlamentari e paghiamo la cattiva immagine della politica». Comunque — dicono — «il nostro filo conduttore è la sobrietà e abbiamo appena rinunciato a un aumento contrattuale triennale che invece alla Camera hanno avuto». Insomma, sono in attesa di una convocazione per trattare. Anche se a loro è precluso il mezzo più classico di pressione sindacale, lo sciopero.
Corriere della Sera – 18 settembre 2012