Le storie di accumulatori compulsivi che si circondano di cani o gatti illudendosi di poterli proteggere, ma poi non sono in grado di prendersene cura. In principio furono i fratelli Collyer. Quando morirono, nella loro casa di New York, trovarono una quantità industriale di oggetti. La sindrome che prese nome da loro riguarda chi accumula cose ma anche animali.
Una patologia dai risvolti inquietanti. «Una pericolosa Arca di Noè», come il titolo del libro di Elisa Silvia Colombo, Paola D’Amico e Emanuela Prato-Previde, presentato, ieri, ad Expo. Quando il circondarsi di troppi animali diventa una malattia? Nel momento in cui non si è in grado di accudirli. Il numero non conta.
L’animal hoarding diventa una forma di maltrattamento, anche se chi la crea non se ne rende conto: una sorta di crudeltà passiva. Vengono interpretate male anche le reazioni e i comportamenti delle vittime. L’accumulatore è convinto di dare loro benessere. Qual è l’identikit di chi è soggetto a questa patologia? Donne, generalmente sole, sui sessant’anni. Un malessere che si manifesta tardi ma che ha radici nel passato. Se si va a rileggere la vita di queste persone si scopre che hanno avuto un’infanzia difficile, spesso sono state vittime di abusi in famiglia e hanno avuto genitori problematici. Il libro racconta anche storie, tutte milanesi, di donne che si sono riempite la casa di animali, soprattutto gatti e cani per una malintesa idea di pet therapy. Amori morbosi, malati. Dove l’aguzzino è anche vittima. Psicosi, ossessioni che stanno diventando sempre più frequenti. Con chi vede che volta il viso dall’altra parte. E pensa che, in fondo, non sia così importante battersi per i diritti degli animali. Questa volta, davvero i soggetti più deboli.
Carlo Baroni – Il Corriere della Sera – 19 ottobre 2015