Poche sigle, pochi capi, molti imprenditori. Contagio via web: «Ci uniamo anche noi»
Le automobili sono incolonnate all’uscita del casello di Vicenza Ovest, la sbarra si alza e lascia passare una Punto rossa. Percorre pochi metri e si ferma, subito incastrata nel caos scatenato dai contestatori che ieri hanno paralizzato mezzo Veneto.
«Fanno bene a protestare, da questo pantano se ne esce solo così: alzando la voce. Sto dalla parte di chi si ribella» assicura l’uomo al volante. Si chiama Attilio Stefani, ha 56 anni ed è il responsabile qualità di un’azienda della provincia di Verona. Deve raggiungere uno stabilimento di Arzignano, nell’Ovest Vicentino, ma il casello di Montecchio Maggiore era bloccato dai manifestanti e così ha proseguito la corsa fino alla successiva uscita della A4.
Intanto, poche centinaia di metri più in là, all’imbocco con la Sp11, i contestatori presidiano la carreggiata anche con la complicità dei camionisti che hanno aderito alla rivolta e che procedono con i tir a passo d’uomo. I veicoli sfilano col contagocce e a tutti viene consegnato un volantino. «Diciamo basta al far-west della globalizzazione che ha sterminato il lavoro degli italiani, a questo modello di Europa», urlano dai megafoni. «Vogliamo riprenderci la sovranità popolare».
Lungo l’asse Verona-Vicenza la viabilità va in tilt, e anche a Padova, Treviso e Venezia si registrano forti rallentamenti. Le forze dell’ordine cercano di mediare con i leader della protesta, che non sono neppure facili da individuare visto che dietro al «Popolo dei forconi», come l’hanno soprannominato, non ci sono i partiti né i tradizionali sindacati. Ad accendere la miccia sono state organizzazioni come Cobas del latte, Life o Movimento autonomo auotrasportatori. Ma nei presidi sparsi per il Veneto, gli associati sono una minoranza: il grosso dei contestatori è composto da gente comune che ha saputo della protesta attraverso Facebook e Twitter.
Dopo quaranta minuti, l’uomo sulla Punto rossa ha percorso forse 30 metri e comincia a dare qualche segno di cedimento: dai finestrini lo si vede dare un pugno al volante e imprecare. Intanto a Montecchio Maggiore si sono radunate quattrocento persone, intorno al casello. Tra i «capipopolo» c’è Luigi Ugone, che qualche anno fa guidò la protesta contro i T-Red piazzati ai semafori di Altavilla. Finì che l’amministrazione comunale fece togliere gli apparecchi e i giudici di pace annullarono le sanzioni. Ma ora la battaglia è più complicata. «Rallentando il traffico – spiega – rallentiamo l’economia. Solo con una protesta eclatante lo Stato sarà costretto ad ascoltarci».
Cristian Caletti è un artigiano, ma ieri la sua attività è rimasta chiusa. «I soldi non bastano mai, a causa delle tasse. Non ho più nulla da perdere…». Non è l’unico: tra i contestatori ci sono moltissimi imprenditori, e più che quello dei forconi sembra il popolo delle partite Iva. Giordano Zugno lavora in proprio come autotrasportatore. «Questo Stato si mangia il 63 per cento di ciò che guadagno, ho una famiglia da mantenere, due figlie di 24 e 16 anni».
Alle 14.50 probabilmente anche Attilio Stefani, nella Punto rossa, pensa a suo figlio e si chiede se riuscirà a tornare a casa. «Per carità, magari avranno pure le loro ragioni, ma mica si può costringere la gente a non andare al lavoro», azzarda. Due ore bloccato in auto, ed è già uscito dalla schiera dei simpatizzanti della protesta. «Siamo prigionieri, è una vergogna. Davvero credono che ai politici di Roma gliene freghi qualcosa del fatto che loro blocchino le strade di Vicenza?». Tra gli altri automobilisti, c’è chi gli dà ragione e chi scrolla le spalle, chi suona il clacson sapendo che non servirà a nulla.
Intanto alla Fincantieri di Marghera, lungo la strada che porta a Venezia, una quarantina di attivisti si prepara a inscenare una singolare protesta, che prende forma in serata: attendono che il semaforo diventi verde per i pedoni e attraversano le due corsie sventolando striscioni e suonando l’inno nazionale. Questa iniziativa, ripetuta più e più volte, manda in affanno la viabilità, soprattutto per chi è diretto al centro storico lagunare. A Montebello traffico in tilt e, sempre nel pomeriggio, si sceglie di chiudere sia in entrata che in uscita i caselli di Montecchio e Soave, mentre i blocchi dei contestatori paralizzano anche la tangenziale di Vicenza, con centinaia di automobili bloccate nelle gallerie dei Berici.
A Padova un paio di chilometri di coda in zona industriale, per il solito volantinaggio. Qualcuno passeggia in mezzo alla carreggiata avvolto nella bandiera di San Marco, altri si aggirano con in mano un finto forcone di legno, giusto per dare un tocco di folclore alla protesta. «Questa mattina ho visto la gente che protestava, e quando ho capito le loro ragioni mi sono unito», racconta Marco Michielotto, operaio reduce da un turno terminato alle 6 del mattino. «I politici hanno mandato a rotoli l’Italia, ora tocca a noi ribellarci: vogliamo che se ne vadano».
A Montebello, Valter Montagnin blocca le automobili e intanto racconta la sua storia: «Ho un’azienda che produce articoli per animali domestici. Nel 2004 avevo 80 dipendenti, oggi sono quaranta ed entro fine anno dovrò mandarne a casa la metà. Per questo oggi sono qui». Forse è proprio questo il senso di quanto è accaduto ieri: una protesta che in Veneto si è costruita senza troppi calcoli politici nè rivendicazioni sindacali, ma solo sulla rabbia e la delusione della gente.
Intanto, alle 17, la Punto rossa ha finalmente percorso le poche centinaia di metri che la separavano dalla Provinciale e ora si dirige verso Arzignano. L’incubo sembra alle spalle. L’uomo al volante manda al diavolo i contestatori ma ancora non sa che, qualche chilometro più avanti, a Montecchio Maggiore, c’è un nuovo blocco che lo attende. E domani si replica. «Andiamo avanti ad oltrenza – assicura Lucio Chiavegato, presidente di Life – finchè lo Stato non darà una vera risposta ai problemi del Paese».
L’assalto dei Forconi, caos e bombe carta In piazza anche gli ultrà. Scontri a Torino, Liguria paralizzata.
«Venerdì tutti a Roma» Bombe carta, bottiglie, sassi, petardi così il movimento dei Forconi a Torino ha dato l’assalto ai palazzi della politica al grido di «ladri, ladri» e «tutti a casa». In tenuta anti-sommossa gli agenti hanno risposto con il lancio dei lacrimogeni ma, alla fine, sono stati applauditi da un gruppetto con le bandiere tricolore. Bloccate le vie del centro, occupate le stazioni ferroviarie di Porta Nuova e Porta Susa, Torino è rimasta per ore prigioniera di una massa indistinta, disoccupati, studenti, pensionati, ma anche ultras della Juventus con i simboli dei «Drughi» e appartenenti a CasaPound e all’estrema destra. I commercianti che non avevano abbassato la saracinesca sono stati minacciati, un gruppetto entrato nel caffè Caval ‘D Brons in piazza San Carlo ha preso a calci le vetrine. Piazza Castello è stata il teatro degli scontri più duri: quattordici agenti feriti, un fotografo dell’Ansa malmenato e derubato, un manifestante fermato.
Nel resto d’Italia la protesta dei «Forconi» ha provocato blocchi stradali a pioggia e qualche interruzione ferroviaria ma è stata la Liguria, colpita da una serie di blocchi da Ventimiglia a La Spezia, a restare semi paralizzata. Il confine con la Francia è stato interdetto per ore: oltre a Ventimiglia i manifestanti hanno occupato la stazione ferroviaria di Imperia dalle 11 e 45 alle cinque e mezza del pomeriggio, impossibile per i treni arrivare al confine, impossibile per chi arrivava dalla Francia proseguire oltre Taggia. «Non abbiamo potuto organizzare servizi sostitutivi perché c’erano blocchi anche al casello autostradale di Imperia e sull’Aurelia» hanno comunicato le Ferrovie. Diciassette i convogli coinvolti. A Genova il blocco della stazione Brignole ha provocato ripercussioni e cancellazioni per 70 treni (4 Frecciabianca, 6 Intercity e 60 regionali). Il traffico è ripreso con difficoltà dopo le sei di sera ma oggi viaggiare è un’incognita: «Scendiamo in piazza e blocchiamo tutto finché i politici non se ne vanno a casa» hanno promesso i leader improvvisati della protesta: «E venerdì tutti a Roma».
È stata una giornata di blocchi e cortei, monitorati dalla Polstrada, dalla Lombardia dove i camion si sono incolonnati a Carpiano lungo la «Binaschina», alla Sicilia dove i dimostranti hanno cercato di fermare il traffico nei pressi della cittadella universitaria di Palermo con il vecchio sistema dell’«attraversamento lento» ma sono stati respinti dai poliziotti. Ovunque striscioni con la scritta «Fermiamo l’Italia» e la parola d’ordine «Tutti a casa».
Situazione critica anche in Veneto, soprattutto nel Vicentino e nel Veronese con la chiusura temporanea di alcuni caselli autostradali della A4: «Mi dispiace per i disagi — ha detto il presidente della Regione Luca Zaia — ma i temi sollevati sono sacrosanti». E mentre la Polstrada ha disegnato un bollettino dei disagi il garante degli scioperi Roberto Alesse ha promesso «tolleranza zero».
A Roma undici manifestanti sono stati fermati dopo un lancio di petardi davanti alla Regione Lazio mentre era in corso una manifestazione di solidarietà con il Comitato Agricoltori riuniti. In Campania al blocco dello svincolo autostradale dell’A3 a Battipaglia i dimostranti hanno distribuito un volantino: «Quando un governo non fa ciò che il popolo vuole va cacciato anche con mazze e pietre. Ci hanno accompagnato alla fame, hanno distrutto l’identità di un Paese». In Puglia un gruppo di manifestanti ha fatto irruzione nell’Ipercoop di Andria pretendendo la chiusura dei negozi.
Oggi, dicono i portavoce del movimento dei forconi, si replica.
Corriere e Corriere Veneto – 10 dicembre 2013