Gli episodi sono avvenuti nell’ultimo mese, altri casi anche appena oltre il confine trentino Troppi ostacoli ai risarcimenti «Chi lavora non è tutelato»
Sono presenti da due anni i lupi in Lessinia e nell’ultima primavera hanno anche procreato due cuccioli. L’arrivo di un simile predatore, che è al vertice della catena alimentare, ha portato con sé i problemi che sono inevitabili quando sullo stesso territorio convivono animali da selvaggina e animali da allevamento. Non si può addomesticare un lupo insegnandoli a predare i primi e rispettare i secondi. Se il lupo è arrivato è perché la popolazione di cinghiali, sua preda naturale disponibile nell’arco di tutto l’anno, è talmente aumentata, che la natura ha provveduto ad affiancarle un controllo naturale. Ma sui pascoli della Lessinia da secoli si caricano ogni estate migliaia di capi di bestiame ed è inevitabile lo scontro di interessi fra chi caccia per mangiare e chi alleva per vivere.
«Non siamo contro i lupi, perché amiamo tutta la fauna, anche quella selvatica», spiega un allevatore di Velo che ha perso 10 manze in alpeggio in un mese tra Ferragosto e metà settembre. «Una è stata colpita dal fulmine ma le altre nove sono state sbranate. Di una ho trovato solo una zampa, due sono disperse e non ho più trovato tracce, delle altre invece ho rinvenuto le carcasse completamente spolpate». È sicuro che siano stati i lupi e dice di averne visto quattro in azione, tutti adulti.
«Sono venuti i sopralluogo agenti della Forestale e guardiaparco, ma hanno riconosciuto il lupo come causa di morte solo per due capi. Per gli altri, le cui carcasse sono state trovate giorni dopo, secondo loro era passato troppo tempo per stabilire con la prova del Dna se si fosse trattato effettivamente di un attacco a un animale vivo da parte dei lupi o se gli animali fossero già morti per altre cause e i lupi o altri selvatici fossero intervenuti solo poi sulle carcasse».
Peggio è andata a un altro allevatore che ha le vacche in una malga appena al di là del confine, in territorio della Provincia autonoma di Trento. Riferisce che i Forestali trentini avrebbero riconosciuto l’attacco dei lupi a nove delle sue manze, ma che la Provincia non intenderebbe risarcire perché a Trento risulterebbe che i lupi responsabili siano «veronesi». Se questa e altre amenità troveranno riscontro negli atti e non solo nelle parole dei malghesi, siamo sulla strada giusta per chiudere l’avventura dei lupi in Lessinia in pochi mesi.
Già il clima si sta facendo pesante. «Siamo stati costretti ad anticipare il rientro dalla malga al 15 settembre mentre era in programma di lasciare le vacche al pascolo fino a fine ottobre, visto l’abbondanza di erba e il clima buono», aggiunge un allevatore, «a causa dei lupi pago l’affitto di una malga che non uso e quello di un pascolo a quota più bassa dove sono stato costretto a trasferire anzitempo le vacche per non portarle in stalla: lì il costo del foraggio sarebbe ancora maggiore».
C’è stato nei giorni scorsi un incontro fra allevatori e responsabili regionali per la fauna selvatica, Comunità montana e Parco della Lessinia. «Ci è stato detto che i lupi ci sono e che dobbiamo imparare a conviverci cambiando le nostre abitudini di allevamento, procurandoci cani da guardia e recinti. Ma sappiamo che questi cani sono aggressivi anche con le persone che si avvicinano alle manze e dovremmo provvedere noi per un’assicurazione per i danni a terzi. È impossibile poi tenere le vacche unite quando sono all’alpeggio: recintarle significa sacrificarle e rischiare forti perdite di latte», aggiungono.
Chiedono maggiori controlli sui lupi, al limite che siano loro ad essere chiusi in recinti, «perché per noi l’allevamento è lavoro: l’eventuale risarcimento è solo una pezza che non risarcisce la passione e la cura che investiamo nei nostri animali; se li perdiamo, perdiamo il lavoro».
In loro sostegno arriva il consigliere regionale di Futuro popolare Stefano Valdegamberi: «Con l’introduzione in Lessinia dei lupi ci sono persone che hanno paura a spostarsi a piedi di notte, per raggiungere stalle o luoghi di lavoro. È facile essere ambientalisti con la pancia piena, lo stipendio assicurato e la casa in città. Altra cosa è lavorare in montagna e convivere, anzi cercare di difendersi accollandosi spese e danni, con animali che da secoli non vivevano più in Lessinia. Qui l’animale da salvaguardare è semmai l’homo sapiens montanus, della specie agricola, che è in via d’estinzione. Chiedo alla Giunta regionale di intervenire con urgenza a tutelare questa specie montana».
«Ma se si vuole che la Lessinia conservi lo stato della preistoria propongo uno stipendio fisso per agricoltori e allevatori e poi si lasci pure che proliferino tutti gli animali, al limite anche i mammut», ironizza Valdegamberi.
L’Arena – 7 ottobre 2013