Per ora i bilanci reggono grazie a quel che resta del finanziamento pubblico, ma il futuro spaventa i tesorieri. Il taglio al finanziamento pubblico è partito dallo scorso anno, eppure i bilanci dei partiti ancora reggono. Il Pd, per esempio, ha chiuso il 2014 in pareggio, dopo due anni di perdite pesanti. Anche Sel ha terminato l’esercizio con un piccolo attivo.
E allora, vien da chiedersi, ce la possono fare anche senza i sussidi statali? «Alt – mette le mani avanti Mariarosaria Rossi, tesoriere di Forza Italia – la realtà è molto complicata perché con l’abolizione del finanziamento pubblico sono venute a mancare risorse significative che vanno recuperate». Come sia andato il bilancio 2014 degli azzurri, ancora non è dato a sapere. Certo è che la senatrice è al lavoro in questi giorni per redigere «un progetto per rilanciare il partito a tutti i livelli». Tra questi, ovviamente, anche quello finanziario. Una sorta di fundraising «che ci permetterà di avvicinarci sempre più al nostro elettorato», ma la tesoriera di Forza Italia altro non dice: «Posso solo anticipare che ci sarà la massima trasparenza: entrate e uscite saranno ben visibili a tutti in una piattaforma dedicata».
Spending review interna
Sicuramente tutti i partiti hanno dovuto tirare la cinghia. Francesco Bonifazi, tesoriere del Partito Democratico dell’era Renzi, ha ammesso che il partito ha fatto «una spending review di quelle micidiali». Qualche esempio: i costi per servizi e forniture sono stati ridotti del 63%, così come quelli per la campagna elettorale delle Europee. Il 40% nelle urne è costato circa 3,3 milioni. «Solo 3,3 milioni» sottolineano in via del Nazareno, ricordando due episodi delle precedenti «gestioni»: nel 2009 per le Europee sono stati spesi 13,5 milioni di euro e per le Politiche del 2013 10 milioni (che però hanno permesso di incassare 23 milioni di rimborsi), nonostante il budget prevedesse una spesa di 6,5 milioni.
Pagano i dipendenti
Bonifazi, però, ci tiene a sottolineare una cosa: «Non abbiamo toccato i livelli occupazionali». Cosa che, per esempio, ha fatto la Lega Nord. I 71 dipendenti sono stati messi in cassa integrazione, quasi tutti a zero ore. Oggi lamentano di esser stati abbandonati: «Il partito – attacca Franco Quaglia della Filcams – si era impegnato a garantirci una convenzione col Credito Valtellinese per riscuotere in anticipo le rate degli ammortizzatori sociali, ma a oggi non abbiamo alcuna indicazione».
Una croce sopra
Per recuperare fondi, la Lega spera che l’impennata nei sondaggi si traduca in un incremento dei tesserati. Ma non basterà. Ne è convinto anche il Pd, che da lunedì avvierà la campagna di tesseramento. E così si guarda a fonti alternative: i democratici, per esempio, proseguiranno con le cene di autofinanziamento. Resta il nodo dell’elenco dei partecipanti: «Non dipende da noi – ripete Bonifazi – ma dalla normativa. Per pubblicare i nomi serve una liberatoria». C’è poi il canale del 2×1000: lo scorso anno è stato un flop, ma i dem stanno iniziando a tempestare le bacheche dei social network con l’hashtag #M20, che è il codice per donare al Pd. Lo slogan è di Bonifazi: «M20, colpito e affondato il finanziamento pubblico». «Anche noi stiamo mobilitando i nostri iscritti – spiega Franco Bonato, tesoriere di Sel, che auspica un ritorno del finanziamento pubblico -, purtroppo lo scorso anno c’è stata una pessima informazione». E così l’unica fonte sicura torna ad essere lo Stato: «Il 50% delle nostre entrate – svela Bonato – arriva dai contributi dei parlamentari». Che però, dopo la scissione, si sono quasi dimezzati.
La Stampa – 28 marzo 2015