La premessa è che non vorremmo mai vedere un solo lavoratore perdere il posto. Ma apprendendo che lo Stato assumerà per due anni migliaia di«bidelli», mentre il commissario alla spending review Carlo Cottarelli stima in almeno 85 mila gli esuberi nella pubblica amministrazione, è legittimo chiedersi quale sia il confine fra l’assistenzialismo e le necessità reali del servizio pubblico.
Questi «bidelli» non sono in realtà bidelli e a quanto pare non sono nemmeno 24 mila, cifra circolata domenica. Si tratta dei precari storici, gli ex lavoratori socialmente utili impegnati da una quindicina d’anni nella pulizia delle scuole, metà dei quali (dunque circa 12 mila) da oggi sarebbero rimasti disoccupati dopo i tagli conseguenti alle gare Consip, con cui la spesa è passata da 620 a 390 milioni.
Per non metterli in mezzo alla strada si è deciso di impiegarli, ha scritto Libero, nel «ripristino del decoro» delle scuole. Toccherà a loro fare le piccole manutenzioni: naturalmente dopo un adeguato percorso di formazione professionale. Costo, intorno ai 300 milioni per un paio d’anni. Cifra che riporta la spesa vicina ai livelli precedenti ai tagli. Ma tant’è.
Non poteva certo scoppiare proprio ora la prima bomba sociale per il governo di Matteo Renzi, ereditata dall’esecutivo precedente di Enrico Letta, ma innescata addirittura da una quindicina d’anni. Nel 1999 l’igiene scolastica è passata per legge allo Stato insieme ai dipendenti degli enti locali che se ne occupavano. Il loro numero, negli anni, si era poi gonfiato a dismisura con gli ex lsu ingaggiati dai Comuni e organizzati in consorzi. Assunzioni anche dettate dalla necessità di mettere una toppa ai problemi occupazionali, ma spesso dal forte odore clientelare. Con il risultato di avere alla fine molte più braccia del necessario.
L’operazione era figlia di una stagione durante la quale la moltiplicazione di ruoli e funzioni nella scuola (e dunque di costi), con il beneplacito sindacale, era considerato normale. Ubriacatura che produsse, per dirne una, la figura delle scodellatrici. Che cosa fanno, lo dice la parola stessa: scodellano le pietanze nei piatti degli alunni nei refettori scolastici. Non sia mai che una bidella tocchi un mestolo.
Questa storia dei pulitori precari ne ricorda molte altre simili. L’inizio di tutto si può far risalire al 1987 per iniziativa del ministro del Lavoro Rino Formica, e del segretario della Cisl Franco Marini. L’idea era quella di alleviare le tensioni sociali impiegando i più emarginati in attività di pubblica utilità: tenere in ordine le aiuole, ripiantare gli alberi bruciati, pulire le spiagge… La moneta unica era lontana e la tipografia statale stampava Bot a pieno ritmo. Anche se era facile prevederlo, nessuno si poneva il problema che la cosa prima o poi sarebbe degenerata. Lo stesso Formica arrivò a proporre di assumere nella pubblica amministrazione i contrabbandieri che si fossero redenti. Mentre il bacino assistenziale diventava pian piano un mare sterminato. Soprattutto al Sud.
Nel 2001 l’Inps censì 125 mila lavoratori socialmente utili. In Calabria i cosiddetti operai forestali raggiunsero la cifra di 11 mila e in contemporanea quella Regione conquistò il record assoluto degli incendi. In Sicilia la Corte dei conti ha calcolato, oltre ai 20 mila dipendenti della Regione, quasi 28 mila lavoratori precari. Ma erano arrivati a sfiorare i 60 mila, senza peraltro mai alleviare un tasso di disoccupazione giovanile ormai ben superiore al 40 per cento. Le paghe sono da fame, ma è chiaro che si tratta di sussidi puri. Sussidi come quelli, non altrettanto miseri, che intascavano le 2.361 persone assunte con la scusa di fare la raccolta differenziata in Campania durante l’emergenza rifiuti: 600 lsu, 470 ex detenuti, 930 disoccupati «di prima classe», più 361 addetti ai consorzi di bacino. Saltò fuori che in 34 lavoravano a un call center dove arrivava mediamente una telefonata alla settimana per ciascuno.
Per non parlare di quei 15 (quindici) reclutati dal comune di Zafferana Etnea, in provincia di Catania, per allevare 8 (otto) cirnechi dell’Etna, cani d’una razza antichissima e prodigiosa. Oppure di quel lavoratore socialmente utile assunto dal piccolo Comune di Bompietro, nel palermitano, al quale il medesimo municipio aveva affidato la redazione di un progetto di arredo urbano per una cifra in lire corrispondente a 322 mila euro. Vette assolute di creatività pseudoassistenziale. Ma se possibile addirittura superate, sette anni fa, dall’assunzione di 110 autisti senza patente a Palermo. Dove il dipartimento trasporti della Regione siciliana, non più tardi di due anni fa, aveva chiesto di avere a disposizione 30 «camminatori». Per fare cosa? Portare le carte da un ufficio all’altro.
Sergio Rizzo – Corriere della Sera – 1 aprile 2014