I dati sugli stipendi contrattuali mostrano la variazione minore dall’inizio delle serie storiche, ma il saldo considerando la bassa inflazione (+0,2% nella media del 2014) è comunque positivo: +1,1%. A dicembre nelle Tlc, nel settore della gomma e nel tessile i maggiori scatti
Roberto Giovannini. Secondo il governo cominciano ad arrivare dati che fanno pensare che una ripresa non episodica stia arrivando davvero. A gennaio, dice l’Istat, l’indice composito del clima di fiducia dei consumatori aumenta in misura significativa, passando da 99,9 a 104,0; quello della fiducia delle imprese tra dicembre e gennaio passa da 87,6 a 91,6. Cresce un po’ la fiducia; ripartono edilizia e mutui; il ministero dell’Economia parla di «un incremento del reddito a disposizione delle famiglie, non ancora trasformato in consumi».
Speranze, prospettive: ma intanto, facendo il consuntivo del 2014, nel corso dell’anno le retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate mediamente soltanto dell’1,3%. Si tratta dell’aumento più modesto dal lontanissimo 1982, e se ne capisce bene la ragione: a parte incrementi salariali più o meno significativi in alcuni settori (come le telecomunicazioni, 3,5%. o la gomma e plastica, 2,9%), in pratica sono vicine alla crescita zero l’edilizia (0,5%) e i trasporti (0,6%). Zero spaccato invece per il pubblico impiego, che ha i contratti bloccati dal 2010.
Apparentemente questa stazionarietà dei salari è più che compensata dall’inflazione minima: il potere d’acquisto è poco cresciuto. Ma a ben vedere, l’inflazione zero/deflazione rischia di trasformarsi in una catastrofe per le buste paga.
La colpa è del sistema contrattuale attualmente in funzione, ideato negli anni ’90 per battere l’alta inflazione, e aggiustato qualche anno fa per fronteggiare un boom del prezzo del petrolio. Nei contratti nazionali le imprese danno aumenti salariali legati all’inflazione programmata, e poi ci si aggiusta. Ebbene, oggi, i prezzi calano: e quel meccanismo produce conseguenze paradossali.
Qualche giorno fa, nell’ambito di un incontro programmato per valutare appunto lo scostamento prezzi/salari nel contratto dei chimici, gli industriali si sono accorti che a rispettare le regole, i lavoratori del comparto dovrebbero restituire ai datori di lavoro la bellezza di 80 euro per il triennio di vigenza contrattuale 2013-2015.
Sarebbe proprio una novità mai vista: una stagione contrattuale che porta a una riduzione dei salari. O più probabilmente, a sentire le associazioni datoriali, a rinnovi senza neanche un centesimo di aumento. «Noi dei sindacati di categoria – spiega Paolo Pirani, segretario della Uiltec-Uil – proponiamo di anticipare il rinnovo del contratto, ma la verità è che bisogna ripensare un po’ tutto il modello contrattuale, anche alla luce delle novità del jobs act. Col meccanismo ora in vigore avremmo il paradosso che i profitti vengono sempre garantiti, e i salari mai, condannati a non crescere». Ma in ogni caso il problema è generale: attendono il rinnovo 7 milioni di lavoratori italiani, e nel 2015 saranno chiamati a negoziare settori importanti: oltre i chimici, i metalmeccanici e gli alimentaristi, tra gli altri.
La Stampa – 30 gennaio 2015