Giulio Geluardi. L’appuntamento con la salvezza è di notte. Torce elettriche non troppo potenti per non danneggiare la vista delle «prede», guanti di gomma in modo da non trasmettere loro malattie letali, passamontagna contro il vento che, a dispetto della primavera, è ancora gelido e taglia il viso, aerati cestini da pescatore.
E poi tanta pazienza, ferrea convinzione e sangue freddo. Le «prede», inermi, impacciate e vulnerabili, sono i rospi comuni, i Bufo Bufo, che richiamati da un istinto ancestrale, così come le ultime rondini sopravvissute, da pochi giorni hanno cominciato la grande migrazione verso i luoghi di riproduzione: i corsi d’acqua e gli stagni, gli stessi dove da girini sono metamorfosati in piccoli rospi dando vita a una nuova generazione. I pochi rimasti sono tutti lì, nelle vallate dell’entroterra dove i boschi un tempo confinavano direttamente con i torrenti ma ora, frapposte, serpeggiano insidiose e trafficate strade. Il faticoso compito notturno è quello di aiutare i rospi ad attraversare la striscia d’asfalto, fermando a volte anche il traffico, e permettere così di raggiungere l’acqua per dare il via a un altro ciclo vitale.
Il tam tam in rete
Per aiutare i rospi a percorrere quei pochi metri che rappresentano la differenza tra la vita e la morte – sono migliaia gli esemplari schiacciati da automobilisti distratti o, peggio, indifferenti che invece molto spesso potrebbero semplicemente fermarsi e spostarli nella cunetta – ma soprattutto per cercare di arginare il declino generale degli anfibi nel mondo, in questi giorni in tutta Italia e in moltissimi Paesi europei, sono scesi in campo i volontari delle associazioni ambientaliste e animaliste. Dal Veneto alla Puglia attraverso il tam-tam di Internet o sui giornali delle stesse associazioni, si danno appuntamento nei posti dove maggiore è la presenza del Bufo Bufo, garantendogli per quanto possibile la sopravvivenza.
In Italia, gruppi attivi per la salvaguardia degli anfibi sono, per fortuna, ormai presenti in quasi tutte le regioni. I primi esempi erano nati negli Anni 90 a Milano, Trieste e Firenze. Da lì, poi, si sono moltiplicati e oggi sono a Genova, Bari, Trento, Bolzano, Ferrara, Pordenone, Treviso, Bologna, Roma sino ai primi gruppi in Sicilia, Sardegna, Calabra e Basilicata: segno di quanto la necessità di tutelare l’ambiente sia ormai entrata nella coscienza collettiva degli italiani. Nucleo centrale di tutta questa attività e la Società Erpetologica Italiana, con la sua commissione per la Conservazione degli Anfibi e dei Rettili.
All’estero
Certo non ci sarebbe bisogno di volontari se l’Italia a livello istituzionale non fosse, come quasi sempre accade, fanalino di coda nella protezione dell’ambiente. Le iniziative statali all’estero sono innumervoli: in Germania, Svizzera e Austria i tunnel e i sottopassi per consentire agli anfibi di migrare sotto le strade non sono eccezioni, ma regole abitualmente preventivate dagli stessi progettisti. In Gran Bretagna vi è l’immensa e popolare iniziativa chiamata «1 million ponds» che si prefigge di realizzare un milione di nuovi stagni per consentire la riproduzione e la conservazione degli anfibi (rane, raganelle e tritoni ma anche di libellule che come gli anfibi sono vere sterminatrici di zanzare). Negli Stati Uniti la «Citizen Science» va per la maggiore, con milioni di cittadini entusiasti e consapevoli impegnati a monitorare lo sviluppo dei girini e l’espandersi di malattie. Ma iniziative a tutela di questi indispensabili animali (nel mondo in molti casi, in concomitanza con l’estinzione degli anfibi, si è notata l’esplosione di malattie infettive come la tubercolosi, peste e altre ancora) vanno ormai dal Perù ad Haiti e dal Giappone al Madagascar, in quest’ultimo Paese anche grazie all’impegno degli erpetologi del Museo di Storia Naturale di Torino.
La globalizzazione
«Il declino delle varie specie è dovuto anche all’inserimento negli stagni di esemplari esotici – avverte il naturalista Dario Ottonello che si occupa della conservazione in Liguria della Emys Orbicularis, rara tartaruga autoctona di acqua dolce. Tra tutti, i più dannosi sono il Gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) , i pesci rossi e le testuggini americane (Trachemys scripta). Soprattutto il gambero della Louisiana e i pesci rossi sono una flagello per moltissime specie, in particolare per i tritoni. Un’altra piaga notevole, per esempio per la Rana temporaria, quella di montagna, è l’introduzione di pesci nei laghi alpini che hanno trasmesso micosi diffuse a livello mondiale e che hanno portato all’estinzione di svariate specie anfibie come il Batrachochytrium dendrobatidis e Batrachochytrium salamandrivorans. Inoltre, gli effetti della distruzione-alterazione e della frammentazione degli habitat emergono anche dopo parecchi anni dall’intervento dell’uomo soprattutto in specie longeve come il rospo comune».
“Per loro il rischio è doppio sulla terra e nell’acqua”. L’erpetologo Bressi: senza di loro invasione di insetti
Nicola Bressi è un erpetologo di fama internazionale e direttore dei musei di Storia Naturale, Orto Botanico e Acquario di Trieste
Direttore, gli anfibi rappresentano una delle specie più a rischio di estinzione del mondo. Perché?
«Perché la loro vita dipende da due habitat differenti e non da uno solo. I caprioli si estinguono se cementifichiamo i boschi; le ninfee se inquiniamo gli stagni; i rospi in entrambi i casi».
Quali sono le zone del mondo dove gli anfibi stanno purtroppo per farlo?
«Gli anfibi sono minacciati in tutto il mondo. Casi eclatanti di sparizioni di specie molto affascinanti o peculiari si sono succeduti dall’Australia al Costa Rica, ma è nei Paesi occidentali, Europa e Stati Uniti, che già partivano con un minor numero di specie, che il declino si fa purtroppo più incisivo».
Senza anfibi che cosa succederebbe al pianeta?
«Sparirebbero dei grandi divoratori di insetti e dei formidabili collegamenti ecologici e trasportatori naturali di biomasse dalle acque dolci alle terre emerse e viceversa. Ma sparirebbe anche una parte dell’immaginario e della cultura umana che va dalle favole di Fedro e Esopo fino al Muppets Show, dai proverbi popolari alle colonne sonore delle notti di primavera con il forte canto delle raganelle che si sentono proprio in questi giorni».
Quanto incide il cambiamento climatico?
«Non lo sappiamo ancora con precisione, ma certamente le forti e ricorrenti siccità, come l’attuale situazione in California, danneggiano pesantemente questi animali, rendendoli più sensibili anche allo sviluppo di malattie e di infezioni micotiche, che vanno ad attaccare la loro sensibilissima pelle».
Che cosa può fare ognuno di noi nel proprio piccolo per cercare di migliorare la situazione?
«Tutti i “normali” gesti che dovremmo fare per rispettare l’ambiente nell’ottica della sostenibilità ecologica: dal riciclo della spazzatura fino alla salvaguardia della natura. Tuttavia per gli anfibi è fondamentale non liberare specie esotiche nei nostri stagni e fossati, soprattutto i pesci che eliminano le larve e girini di molte specie di anfibi. Inoltre, per chi ha un giardino o un orto, è importante realizzare e mantenere pozze e laghetti che rappresentano vere oasi di biodiversità, ma anche di educazione ambientale. E che, se correttamente gestiti e ricchi di anfibi e libellule, non producono affatto zanzare».
La Stampa – 13 aprile 2015