Michele Bocci. Come un vecchio amico o un parente che va a salutare chi si trova in un momento difficile della sua vita. Per vedere come sta, per fargli coraggio. Con passo felpato, Fido sta attraversando sempre più spesso i corridoi degli ospedali italiani. Entra nelle pediatrie a strappare sorrisi, nelle medicine ad alleviare il dolore o nelle geriatrie a farsi accarezzare.
I reparti si stanno lentamente aprendo alla presenza di animali. L’ultimo caso è quello di Treviglio, in provincia di Bergamo, dove l’azienda ospedaliera ha dato il via libera a cani, gatti, conigli. Già da tempo si sono mosse Regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna, che hanno addirittura adottato delibere per regolare l’accesso degli animali da compagnia. È facile vederli entrare in ospedale a Reggio Emilia, a Ferrara, a Firenze, a Prato, a Pontedera. Ma si sono mossi anche a Mestre e al San Martino di Genova. Impossibile avere un censimento, perché spesso si tratta di iniziative di singole strutture, magari avviate dopo la richiesta di un malato che non riusciva più a stare senza il suo amico fedele. È stato un fatto drammatico, ad esempio, a segnare la svolta per l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, che pure era stata una delle prime strutture italiane a fare pet therapy , già nel 2000. Qualche anno fa un bambino coinvolto in un gravissimo incidente nel quale aveva perso i genitori si trovava in rianimazione. Migliorava ma non mangiava e non parlava per lo shock. I medici hanno provato con un cane, non il suo, ma un animale addestrato per l’assistenza. Solo per quel paziente hanno infranto la regola secondo la quale le terapie intensive sono off limits per gli animali. E ha funzionato. Da allora il pediatrico ha deciso di puntare sulla presenza dei cani, gestiti da un’associazione che si chiama Antropozoa. Tutti i giorni entrano nei reparti a visitare i malati. «Così abbiamo anche proposto ai pazienti di farsi visitare dai propri animali di famiglia, ovviamente seguendo una serie di regole — spiega Andrea Messeri, responsabile della terapia del dolore del Meyer — Avere vicino il proprio cane, del resto, fa ancora più bene che giocare con quelli addestrati». Maria Chiara Catalani, vicepresidente della Sisca, società italiana di scienze del comportamento animale, spiega che con il proprio animale accanto «intanto si mantiene contatto con la vita quotidiana e ci si motiva a curarsi bene per tornare presto a casa. La festosità del cane in generale, ma in particolare del proprio, è importante emotivamente. E tra l’altro la visita è meno impegnativa rispetto a quella di un parente o una persona cara. Con il cane ci si rilassa e basta, si sta insieme in tranquillità». Chi è più sereno sente meno il dolore, e ha un rapporto migliore con il personale sanitario, come è stato visto negli ospedali che hanno aperto le porte. Ci sono però regole da rispettare. Intanto non si possono aprire tutti i reparti. Le terapie intensive ma anche le unità coronariche o le chirurgie non sono adatte a causa del rischio di infezioni. Comunque si deve trattare di esemplari sani. I cani devono essere puliti prima dell’ingresso e tenuti al guinzaglio corto. Gli altri animali entrano generalmente in gabbia. Bisogna poi chiedere sempre il parere ai medici e anche il permesso degli altri degenti. Capita di rado che questi ultimi dicano di no. Sono tantissimi a considerare preziosa la presenza degli animali.
“Ma esistono rischi igienici possono portare infezioni”
L’intervista / Massimo Andreoni, presidente Simit
«UTILE per i pazienti ma da tenere sotto controllo dal punto di vista igienico, perché rischioso». Il professor Massimo Andreoni di Tor Vergata è presidente della società italiana di malattie infettive (Simit).
È giusto che gli animali frequentino le corsie?
«Può avere una logica. Ma abbiamo ospedali che già hanno carenze dal punto di vista igienico, quindi il loro ingresso può peggiorare la situazione. Diciamo che ci vuole intelligenza e sensibilità nel regolamentare questa cosa».
Cani e gatti possono trasportare i germi?
«Tutti i giorni abbiamo a che fare con l’emergenza infezioni ospedaliere, e cerchiamo di evitare che i germi passino da un paziente all’altro. Non che l’animale sia un veicolo ottimale per il trasporto di questi microrganismi, ma rischiano di essere un elemento di confusione. Tanto più in reparti sempre più aperti, pieni di visitatori».
Quindi meglio non farli proprio entrare?
«No, bisogna solo regolamentare bene la loro presenza. Ad esempio, può avere senso farli passare se il paziente che visitano resta ricoverato a lungo, non per le degenze brevi».
Repubblica – 4 settembre 2015