Oldrado Poggio. L’ultimo incidente proprio ieri mattina, sulla strada che da Bubbio, nella Valle Bormida astigiana, scende verso Canelli: l’automobilista si è trovato davanti un capriolo che gli attraversava la strada: è finita con tanto spavento e danni alla carrozzeria.
Giacomo Sizia, imprenditore agricolo di Bubbio, da anni si batte per ridimensionare la presenza dei caprioli: «Sono indubbiamente animali belli da vedere, capisco che diano emozione, ma non sono autoctoni e quindi qui non ci devono stare». Sizia da anni è portavoce dei tanti agricoltori della zona che in questo periodo cominciano a presentare le denuncie per i danni causati dagli animali selvaggi alle colture: caprioli, cinghiali, ghiri sono i maggiori imputati (nel 2015 la Regione ha rimborsato danni per 100 mila euro nel solo Sud Astigiano).
«Il fatto è – spiega Sizia – che i caprioli in questi anni sono diventati diverse migliaia ed è difficile controllarli. E’ un problema, perché sono ghiotti delle colture che rappresentano le nostre fonti di reddito: vigneti, noccioleti, boschi e seminativi causando danni che spesso si ripercuotono per diversi anni». Un esempio: «Su un nuovo impiantamento di 45 alberi di ciliegio messe a dimora, dopo tre giorni 18 erano già rovinati. Ho provveduto a ripiantarle ma i caprioli hanno subito brucato i giovani germogli». Qualche chilometro più in là, a Montabone, Giovanni Gallo, imprenditore agricolo racconta una storia simile: «Per diversificare il reddito ho impiantato 300 alberi di albicocche e ho messo le reti protettive. Non è bastato: i caprioli hanno rotto la corteccia di 50 giovani piante. Chi ci difende?». Sizia ha la risposta: «Liberalizzare la caccia al capriolo: solo così si potrà riequilibrare il rapporto tra gli animali simpatici e il territorio».
La «selezione»
Da qualche tempo l’Agenzia per la caccia organizza campagne di «selezione» dei caprioli: autorizzate dalla Regione: nell’ultima l’obiettivo (praticamente raggiunto) era di abbattere 600 capi. Il presidente dell’Agenzia Marco Listello, allarga le braccia: «Abbiano fatto il massimo possibile, ma c’è stato un aumento dei danni specie sui vigneti e noccioleti giovani. Forse se la Provincia attuasse piani di selezione nelle zone di ripopolamento le cose potrebbero migliorare». Ma c’è chi fa notare che le doppiette non sono la soluzione. Umberto Gallo Orsi, veterinario, rappresenta le associazione ambientaliste: « I caprioli fanno parte del nostro ambiente, e i danni che sono attribuibili a loro sono percentualmente piuttosto bassi. In ogni caso esistono sostanze repellenti che si possono spruzzare sulle cortecce o fili elettrificati che sono forniti dall’Agenzia per la caccia e hanno comunque costi sostenibili. Il capriolo è un rischio d’impresa, esattamente come la grandine: ci si può assicurare».
La Stampa – 31 maggio 2016