Vietato restare a guardare solo nel proprio cortile: il mercato è globale. Così la campagna acquisti da parte di multinazionali estere dei nostri pezzi più pregiati non sempre significa perdere il controllo delle aziende italiane.
Al contrario: a volte è un modo – forse l’unico oggi – per valorizzare e rafforzare le imprese sui mercati internazionali, nel nome del Made in Italy. Un dibattito attuale diventato allarme quando, qualche giorno fa, Coldiretti ha fotografato il quadro delle cessioni, dopo il cambio di timone a Telecom Italia. Ed è emerso il «caso» dell’agroalimentare.
L’elenco è lungo, i nomi sono quelli di imprese storiche, come Olio Sasso, Carapelli e Bertolli, la Star, la Parmalat, acquistata dalla francese Lactalis insieme a Galbani, Invernizzi Cademartori. E ancora: Eridania, Boschetti, Orzo Bimbo, Fattoria Scaldasole, Giancia, Pelati Ar. Gli stranieri fanno affari in un settore primario per il Belpaese e nessuna levata di scudi come per Alitalia. Anzi. Alberto Alfieri, da pochi mesi amministratore delegato di Cesare Fiorucci Spa, specializzata nella produzione di salumi e rilevata al 100% nel 2011 dalla spagnola Campofrio, la pensa così: «Invochiamo gli investimenti stranieri in Italia, poi quando arrivano ci spaventiamo perché comprano le nostre aziende: brand appetibili perché il Made in Italy è una tendenza globale». E aggiunge: «Avere in portafoglio un grande nome tricolore è un fiore all’occhiello per le multinazionali. Ci tengono a far fruttare il marchio, soprattutto sui mercati internazionali».
A volte risanando, anche a costo di tagli dolorosi al personale, come quelli messi in atto nel gruppo l’anno scorso. Oggi restano 600 addetti: «Anche chi è rimasto ha subìto un taglio alle retribuzioni del 7%, riducendo i contratti integrativi locali – prosegue -, ma è stata una scelta necessaria per poter ripartire da una realtà in salute». Nel 2012 la produzione si è mantenuta stabile, con l’export al 30%: ora si vuole portare questa quota al 50%. «Al termine di questo percorso, potrebbero esserci anche ricadute occupazionali positive», anticipa Alfieri.
E in un mercato davvero globalizzato, le alleanze giuste possono rappresentare il «quid» che fa la differenza: la Giovanni Ferrari di Ossago Lodigiano, che produce, confeziona e distribuisce Grana padano, Parmigiano reggiano, e che tratta complessivamente 21 Dop, ha beneficiato della vendita del 27% delle quote al colosso francese Bongrain Sa, leader europeo nel comparto dei prodotti caseari, avvenuta due anni fa. L’operazione ha fatto schizzare in alto le vendite all’estero, che ora valgono il 13% del fatturato di 190 milioni di euro, facendo aumentare la produzione in Italia. «In un anno l’export è cresciuto del 145%, anche in mercati dove eravamo già operativi – spiega l’ad Laura Ferrari –: ora siamo presenti in Francia, Belgio, Gran Bretagna, nei Paesi dell’Europa centro orientale e nelle repubbliche Baltiche, e negli Stati Uniti».
Anche per l’abruzzese Pasta Del Verde, acquistata nel 2010 dall’argentina Molinos Rio De La Plata, il passaggio è stato positivo: «Si è investito sia sugli stabilimenti, sia sulle risorse umane – spiega l’amministratore delegato Luca Ruffini – il gruppo tiene a valorizzare il nostro prodotto e il nostro marchio: ci ha acquisito proprio per avere una pasta italiana d’eccellenza. Un’opportunità anche per chi lavora in azienda, che ha visto ampliarsi le proprie prospettive. Il nostro export è salito ogni anno, anche se il fatturato, eliminando sin dall’inizio le marche private, risulta in calo. Ora però siamo competitivi». La presenza di reti di vendita qualificate ha portato al consolidamento in nazioni come la Germania, la Francia, ma anche il Canada, dove era già la prima pasta italiana, negli Usa, e ora anche in Cina, Giappone, Messico Brasile, e anche Russia.
Stesso discorso per la Riso Scotti, il cui 25% è passato nelle mani di Ebro Foods pochi mesi fa: «L’operazione è molto recente – fa sapere l’azienda – ma ha già dato frutti interessanti: il gruppo vuole esportare insieme a noi nel mondo il concetto di risotto Made in Italy, e questo si è già tradotto nella presentazione di nuove proposte all’Anuga, a Colonia, fiera a cui non avevamo mai partecipato. Un successo».
La Stampa – 3 novembre 2013