Caso liste pulite. Repulisti a metà con lacrime di coccodrillo
Sfortunatamente sappiamo tutti molto bene ciò che l’attuale sistema elettorale, lo sciagurato Porcellum, comporta. Precisamente: decide tutto il capo del partito; se ti mette in lista in una posizione adeguata sei eletto, altrimenti, adieu.
Per questo bisogna riconoscere che Silvio Berlusconi una buona dose di coraggio nella definizione delle candidature del Pdl l’ha messa in mostra. In tandem con Angelino Alfano, ha tagliato fuori amici storici; compagni di avventura politica e come lui fondatori di Forza Italia; inquisiti eccellenti, capi bastone e ras locali temuti e riveriti. Il fatto che poi quasi sempre le sopracitate categorie si coagulassero nella medesima persona rende ancor più significativa l’operazione. Per intenderci: nelle fila dei possibili parlamentari del Popolo della Libertà non ci sono personaggi del calibro di Marcello Dell’Utri, Claudio Scajola, Marco Milanese e, trinciatura finale, Nicola Cosentino. Quest’ultimo niet si è rivestito per ore e ore di venature grottesche, con l’ex sottosegretario che avrebbe sequestrato le liste elettorali seguendo, pare, la logica «se sono fuori io, allora fuori tutti». Il Pdl campano ha smentito, le liste sono state depositate. Cosentino non c’è. Bene: non si tratta di interventi da poco. Forse il Cavaliere si è fatto convincere da sondaggi assai poco esaltanti; forse ha pesato il pressing leghista che per dare via libera all’intesa nazionale ha preteso pulizia e sbianchettamenti. Non importa.
Quel che conta è che il macigno degli inquisiti si è notevolmente assottigliato. E un bene: per il Pdl e per la credibilità della politica. Però la questione vera non finisce qui. Piuttosto il contrario: è proprio qui che comincia. Perché delle due l’una: o il Pdl si è tolto il marcio e allora non si capisce perché finora se l’è tenuto; oppure il marcio non c’era e allora sono ingiustificate tante trombature preventive. Vediamo. L’operazione di tosatura sui candidati inquisiti è spericolata perché minaccia rivolte e produce ripicche che possono diventare negative nelle urne. Basta ascoltare le reazioni in giro in tutta Italia per rendersene conto. Resta che il Pdl assolutamente non poteva ripresentarsi a chiedere ancora una volta il governo del Paese con la zavorra di tante, troppe, imbarazzanti e non più accettabili ombre giudiziarie. Il che peraltro comporta da un lato che nel prossimo Parlamento il conflitto politica-magistratura si presenta con caratteri meno esplosivi; e dall’altro che così agendo Berlusconi si riavvicina allo spirito del ’94, quando scese in campo con un profilo antipolitico che si ammantava di voglia di pulizia dopo la bufera di Tangentopoli che aveva scoperchiato un viluppo di malaffare e di inquinamento nel rapporto tra affari e politica che aveva disgustato milioni di italiani. Se a spingere il Cavaliere in questa direzione sono : stati anche alcuni incitamenti di porzioni di elettorato pidiellino ormai esausto di «difendere gli indifendibili» i come ammoniva l’ex segretario De Mino Martinazzoli, tanto : meglio: un leader è tale se sa ascoltare, non solo dare ordini. Ma, appunto, ogni decisione comporta conseguenze e i produce giudizi e valutazioni. In questo caso, i specificamente due. La prima. Berlusconi e Forza Italia i prima e Pdl ora, hanno ingaggiato con la magistratura un i conflitto senza pari nella storia della Repubblica. La : magistratura politicizzata, che perseguitava il capo e i suoi I seguaci con accuse strumentali alla voglia di eliminarlo i dall’agone, per anni è stato il refrain piùgettonato del : Cavaliere. Ogni accusa una calunnia, ogni indagine un Ì complotto: teorema che valeva per lui e per i suoi : collaboratori. Adesso che è successo? Se i magistrati : avevano ragione e Berlusconi ha aderito alla deriva i giustizialista (come accusano alcuni dei trombati) è stato un : colossale errore e un esiziale danno per il Paese aver : garantito l’immunità a personaggi che non la meritavano. Di converso: se quelle battaglie erano giuste, combattute in i nome e per conto di un principio sacrosanto di un sistema i democratico come il garantismo, perché ora si fa dietrofront? Se è per mutata convinzione, si tratta di una i resipiscenza benvenuta ma tardiva. Non solo: a ben vedere : anche incompleta visto che un nutrito drappello di inquisiti più o meno ugualmente eccellenti rimane ben piantato al : suo posto. Se invece è per un puro fatto di convenienza i elettorale, sono lacrime di coccodrillo che rischiano di tramutarsi nell’ennesimo boomerang che abbaglia momentaneamente i fan e poi li delude. Con il corollario che un’altra frustrazione produrrebbe una faglia di disillusione nei cittadini – e non solo in quelli che votano centrodestra dagli effetti devastanti. Senza dimenticare che c’è anche un altro tema, non meno importante. Quello che attiene ad un’altra caratteristica pur essenziale di un sistema politico equilibrato in senso democratico: quello dell’esempio, massimamente quando viene dall’alto. Berlusconi esclude dalle candidature personaggi ed esponenti politici di primissimo piano in quanto appesantiti da accuse corpose. Ma poiché non riserva a sé stesso il medesimo trattamento, si espone a critiche e rilievi che è improbo ritenere infondati. Risultato: lui che, come ama dire, ha assommato migliaia di ore di processi e milioni di carte giudiziarie per un numero incredibile di addebiti, accuse e procedimenti; il leader politico che lamenta di aver dovuto pagare parcelle milionarie ai suoi avvocati e di aver potuto fare in molti casi poco e male il mestiere di capo del governo a cui la maggioranza degli italiani lo aveva destinato in quanto trascinato in indagini infinite con accuse insussistenti e fuorvianti, resta fermissimamente al suo posto. Anzi, si candida capolista al Senato in tutte le circoscrizioni d’Italia. È vero: ha fatto un passo indietro; non è il candidato premier, solo il capo della coalizione. Tuttavia diciamo la verità: si tratta di una differenza impalpabile agli occhi degli elettori, ennesimo frutto avvelenato di un meccanismo elettorale confuso e perverso. Davvero basta quella distinzione normativa per giustificare una difformità di atteggiamento così éclatante? Tempo un mesetto, poi si capirà.
Il Messaggero – 22 gennaio 2013