di DANILO MAINARDI. Il peso forma di una femmina d’orango non dovrebbe superare i quaranta chili, ma Jackie ormai aveva raggiunto il quintale. Questo perché aveva abbandonato la vita normale di animale selvatico, praticamente da quando s’era «ammalata d’uomo».
Gran brutta malattia che poi spiegherò. Oltretutto Jackie non viveva in uno zoo, dove spesso gli animali si appesantiscono, ma nel Parco forestale di Poring, in Borneo, un’area protetta ad alta frequenza turistica. E sono stati proprio i turisti a farla ammalare ingozzandola di patatine fritte, hamburger e altro cibo spazzatura. E lei, furba e gentile, s’è un po’ per volta trasformata in un’accattona. Facilitata anche dal fatto che le femmine d’orango hanno un’espressività e un viso quasi umani.
Ma quale sarebbe, in natura, il comportamento alimentare di un orango? Questi primati vivono in territori ricchi di piante da frutto, cibo che prediligono, soprattutto fichi. Queste piante sono disseminate in quelle aree vaste e non giungono insieme a maturazione.
Uno studioso di oranghi, Peter Rodman, ha sintetizzato così la loro strategia per sopravvivere in natura: «Foraging is the problem, intelligence is the solution» (approvvigionarsi di cibo è il problema, l’intelligenza la soluzione). Queste scimmie infatti devono non soltanto fissare nella mente luoghi e posizione delle diverse piante da frutto, ma memorizzare il periodo in cui maturano. Il che presuppone non solo grandi capacità intellettive, ma anche buone doti fisiche, perché poi le piante devono essere raggiunte. E sbagliare percorso è fatale.
Gli etologi paragonano questo comportamento a quello dei commessi viaggiatori, che ogni mattina, prima di partire per il lavoro, si costruiscono mentalmente il tragitto più utile per visitare i loro clienti. Un impegno che richiede concentrazione e energia. Capacità probabilmente perse da Jackie, e con esse il peso-forma.
Infine, consapevoli dello stato della 22enne Jackie, i responsabili del Wildlife Department l’hanno trasferita nella regione di Sabah, nel nordest del Borneo, dove ora la stanno sottoponendo a un programma dietetico in cui giornalmente le viene somministrata una gran quantità di frutta e verdura. E speriamo che serva, perché non ci sfugge che in questo programma il lavoro fisico non viene mai menzionato.
Detto dell’opportunista comportamento di Jackie — del resto così simile a quello dei nostri golosissimi cani, anch’essi abili a trasformarsi in provetti accattoni — c’è da dire qualcosa pure sul comportamento umano, causa prima di queste obesità.
A tutti noi piace molto nutrire, a un punto tale che, se non possediamo un cane e dunque non abbiamo nessuno da rimpinzare, va a finire che cerchiamo di farlo con animali altrui. E così al bar, non resistendo allo sguardo implorante di un cane, chiediamo al padrone il permesso di dargli un boccone, spesso generando imbarazzo in tutti (cane escluso, ovviamente). Donare cibo è parte della nostra socialità. È un altruismo, quasi una necessità, ma che troppo spesso riversiamo sui bersagli sbagliati.
Corriere della Sera – 13 luglio 2013