Il metodo Stamina non ha consistenza scientifica: il comitato per la sperimentazione – nominato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin e presieduto da Fabrizio Oleari, presidente dell’Istituto superiore di sanità – ha trasmesso parere negativo sul protocollo consegnato all’inizio di agosto da Davide Vannoni, il docente di psicologia della comunicazione con il pallino della ricerca.
La notizia della bocciatura del trattamento a base di cellule staminali mesenchimali messo a punto da Stamina Foundation è trapelata ieri in serata. Il ministro Lorenzin ha precisato di non aver ancora ricevuto la relazione ma il verdetto è quello, e già domani il documento potrebbe essere reso disponibile sul sito del dicastero (www.salute.gov).
La reazione di Vannoni. Il «no» non sarebbe in teoria vincolante per l’avvio della sperimentazione, che secondo il decreto Balduzzi (la prima legge di questa legislatura) sarebbe dovuta partire dal 1° luglio scorso e che invece ha rallentato, anche per il ritardo con cui Vannoni ha consegnato la documentazione al comitato. Ma il parere è un’ipoteca pesantissima sul destino del test. Non a caso Vannoni ha subito annunciato battaglia: «Me lo aspettavo. Era evidente che il comitato non fosse imparziale, visto che il 70% dei suoi membri si era espresso contro il metodo prima ancora di essere nominato. Se così stanno le cose Stamina farà ricorso al Tar proprio sulla nomina di precise personalità, non imparziali, all’interno del comitato».
Vannoni è in polemica ad esempio con Luca Pani, direttore generale Aifa, che aveva paragonato il trattamento all’«olio di serpente». Ce l’ha con Giulio Cossu e Amedeo Santosuosso (l’uno scienziato di fama internazionale, l’altro magistrato esperto di bioetica), tra i tredici esperti che lo scorso marzo scrissero un accorato appello all’allora ministro Renato Balduzzi perché non prendesse decisioni sulla base di campagne mediatiche, ignorando la scienza.
Le ragioni della scienza. Non sono stati i soli, va detto. L’intera comunità scientifica, nazionale e internazionale, ha preso nettamente le distanze dal metodo, contestando la decisione italiana di procedere alla sperimentazione. Lo ha ricordato di recente la prestigiosa rivista «Nature» (http://www.nature.com/news/italian-stem-cell-trial-based-on-flawed-data-1.13329), mettendo di nuovo il dito nella piaga su una verità che neanche Vannoni può contestare: sul metodo Stamina non esistono pubblicazioni, né prove di efficacia. La richiesta di brevetto presentata alla Fda nel 2010 (http://www.google.com/patents/US20120149099) e poi ritirata era stata rifiutata perché vaga, imprecisa e non innovativa.
È per questo che per la ricercatrice Elena Cattaneo, fresca di nomina a senatrice a vita, il parere negativo del comitato è «una decisione che ci si poteva attendere»: la sua posizione, espressa anche dalle colonne del Sole 24 Ore, è sempre stata molto scettica. È sempre per questo che il collega Michele De Luca non è stupito: «Tutta la comunità scientifica mondiale si era espressa sulla consistenza del metodo, quindi ritengo che la commissione tecnica abbia semplicemente verificato quanto espresso dal mondo scientifico a livello internazionale».
Due volte Di Bella. La decisione finale ora spetta al ministro Lorenzin, a cui l’Associazione Luca Coscioni ha chiesto subito di bloccare la sperimentazione. «Profondo rammarico» è stato espresso dal presidente della commissione Affari sociali della Camera, Pierpaolo Vargiu (Scelta Civica): «Il Parlamento, in maniera molto chiara, ha investito nella speranza. Se questa speranza non ha ragion d’essere, è evidentemente una sconfitta».
Resta l’amarezza di una vicenda che richiama tristemente il caso Di Bella. Anche allora, nel 1997, la scienza si scontrò con le proteste dei malati. Anche allora la terapia si fece strada a colpi di ordinanze e sentenze. Anche allora la politica dovette scendere a compromessi. Ma mentre Di Bella prometteva una cura per i malati di tumore alternativa a una terapia di provata efficacia come la chemio, Vannoni va oltre: il suo trattamento offre una speranza a chi non ne ha perché non ci sono cure per la sua malattia. Per ora sembra essere svanita l’occasione di dimostrare che il metodo non è mera speranza, ma scienza.
Manuela Perrone – Il Sole 24 Ore sanità – 12 settembre 2013