La riforma del condominio distingue tra animali domestici ed esotici, affermando la piena libertà di possedere o detenere i primi (gatti, cani, criceti, conigli eccetera), estromettendo di fatto la previsione di poter tenere in appartamento i secondi (come i serpenti e le iguane). Rimane comunque la piena responsabilità del proprietario relativamente al controllo e alla custodia del proprio animale soprattutto nelle parti comuni. L’articolo 1138 del Codice civile, riformulato dalla legge 220/2012, entrerà effettivamente in vigore il 18 giugno 2013, quindi da quella data il «regolamento di condominio», come recita la riforma, non potrà più vietare di possedere o detenere animali domestici in condominio.
L’attenzione su una norma solo apparentemente secondaria è anche determinata dal fatto che una famiglia su quattro in Italia possiede un animale domestico.
Il termine «domestico» ha preso il posto del termine «da compagnia» inizialmente adottato dal Senato prima degli emendamenti e della sua riformulazione alla Camera, in quanto questa ultima definizione veniva considerata “a rischio”, ovvero un po’ troppo ampia, per cui vi era il rischio che i serpenti e le iguane potessero rientrare in questa categoria.
Ma il problema non è stato completamente risolto. Infatti, anche la definizione di animale domestico non trova corrispondenza nei libri o nei trattati giuridici e, quindi, per comune sentire, anche il porcellino o la gallina potrebbero essere considerati tali e detenuti legittimamente in condominio. Le polemiche, insomma, sono ben lontane dall’essere eliminate dalla nuova norma.
Quanto alle ripercussioni che questa norma può avere nei confronti di quei regolamenti che attualmente vietano la detenzione di animali in condominio, è senz’altro vero che un regolamento di natura contrattuale (approvato con il consenso unanime di tutti i condomini o accettato, sottoscritto ed allegato ai singoli atti di compravendita) può comunque imporre vincoli anche sull’uso della proprietà individuale.
In mancanza di una norma transitoria che disciplini i rapporti in essere, la nuova disposizione legislativa trova applicazione solo dal momento in cui entra in vigore, lasciando immutato tutto quanto a essa preesistente. Diversa considerazione pare, invece, avere il divieto contenuto in un regolamento di natura assembleare, che non può disporre delle regole che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai singoli condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà. Senza contare gli aspetti legati alle normative europea e costituzionale (si veda l’articolo a fianco). Esiste però un altro aspetto: quello del diritto alla salute, altrettanto garantito dalla Carta costituzionale a quei condòmini che soffrono di allergie o di gravi forme di asma provocate dalla vicinanza o dal contatto con gli animali di proprietà dei condòmini, ai quali la legge consente ora la piena detenzione senza più alcun divieto. Sicuramente i giudici saranno chiamati a rispondere e a risolvere anche simili problematiche. Pare, quindi, che, pur con l’ingresso di questa nuova previsione legislativa, chi possiede un animale continuerà a non avere vita facile in condominio.
L’affetto per cani e gatti è diritto tutelato dal legislatore
L’interpretazione restrittiva delle norme della riforma sugli animali domestici non tiene in dovuto conto l’evoluzione del diritto vivente e la nuova valorizzazione del rapporto uomo-animale, già affermatasi a livello europeo e nazionale.
A livello europeo, infatti, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea riconosce all’articolo 13 gli animali come esseri senzienti, e la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (Strasburgo, 13 novembre 1987), ratificata in Italia con legge 201/2010, prevede «che l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi», e «in considerazione dei particolari vincoli esistenti tra l’uomo e gli animali da compagnia» afferma «l’importanza degli animali da compagnia a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società».
A livello nazionale, tra i diritti riconosciuti e difesi dal nostro legislatore vi è sicuramente quello alla tutela degli animali di affezione. Si pensi, ad esempio, alla legge 281/1991, che all’articolo 1 afferma che «lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale»; al Codice del turismo (Dlgs 79/2011), che all’articolo 30 afferma che «lo Stato promuove ogni iniziativa volta ad agevolare e favorire l’accesso ai pubblici servizi e nei luoghi aperti al pubblico dei turisti con animali domestici al seguito». E soprattutto la legge 189/2004, che ha introdotto nel Codice penale le nuove figure delittuose (articoli 544-bis e seguenti del Codice penale), sancendo il riconoscimento della tutela del sentimento (umano) per gli animali.
Non solo. Sempre a livello nazionale, sono numerose le pronunce che hanno riconosciuto il diritto di visita in carcere al cane del detenuto, in quanto membro della famiglia, o quelle che hanno ammesso il diritto di visita in ospedale al cane del paziente ricoverato, in quanto si afferma che il rapporto uomo-animale costituisce una attività realizzatrice della personalità umana (Tribunale di Varese, Sezione I Civile, sentenza del 7 dicembre 2011).
È evidente, allora, che il rapporto uomo-animale non solo abbia avuto un riconoscimento normativo, ma costituisca ormai un interesse da trarsi dal tessuto connettivo della Costituzione, in base alla previsione dell’articolo 2, aperto al soggiorno dei valori man mano riconosciuti, nel tempo, dalla società, come diritti inviolabili (anche se “inespressi”).
Il Sole 24 Ore – 28 dicembre 2012