Repubblica. Chi entra in farmacia con la ricetta del medico ha una possibilità altissima di tornarsene a casa con un medicinale vecchio o vecchiotto. L’84% dei prodotti della cosiddetta classe A, rimborsati dallo Stato, hanno infatti il brevetto scaduto, cioè hanno sulle spalle almeno 10 o 15 anni di età. Talvolta anche molti di più. Ci curiamo o affrontiamo fattori di rischio come ipertensione e colesterolo alto, quindi, con molecole piuttosto antiche e ne abbiamo a disposizione tantissime, pure troppe secondo alcuni esperti. Ci sono infatti tanti doppioni, medicinali diversi che però agiscono nello stesso modo.
Questo non significa che i farmaci non siano efficaci, perché anzi sono spesso fondamentali. Piuttosto bisognerebbe semplificare e magari anche risparmiare. Ad esempio, i soldi che gli italiani spendono di tasca propria per avere il farmaco di marca anziché il generico, cosiddetto equivalente. La spesa convenzionata, quella appunto per i prodotti acquistati in farmacia, in un anno equivale a 7,5 miliardi di euro. Ebbene, nel 2021, come certifica il rapporto Osmed redatto dall’Agenzia del farmaco Aifa, i cittadini hanno aggiunto 1,1 miliardi, pagando di tasca propria. Tra l’altro si tratta di una cifra piuttosto stabile negli ultimi anni. Già nel 2018 si è raggiunta quella cifra, che non è stata scalfita nemmeno dal Covid ed è rimasta la stessa per 4 anni.
La legge prevede che lo Stato rimborsi il valore del generico del farmaco senza brevetto di fascia A. Se il cittadino vuole il prodotto di marca, e cioè non si accontenta di Amoxicillina e Acido clavulanico (di solito i generici hanno il nome del principio attivo) ma pretende l’Augmentin, allora paga la differenza, che di solito è di qualche euro. In media succede nel 65% dei casi che si preferisca il brand. La percentuale è altissima se si confronta con quella di altri Paesi europei e certifica come in 26 anni i generici da noi non abbiano sfondato.
Il loro consumo è cresciuto ma molto lentamente. Succede così che per alcuni medicinali, come il Congescor (o altri prodotti di marca a base dello stesso principio) che si usa contro l’ipertensione, i cittadini spendano 53,3 milioni quando potrebbero avere gratis il farmaco equivalente a base di Bisoprololo.
I dubbi sull’efficacia dei generici sono sempre stati pochi e ormai non li ha più nessun esperto. Tra l’altro c’è un dato che serve a capire quanto siano equivalenti. È quello regionale. I consumi sono molto diversi a seconda della zona. In Lombardia, ad esempio, il 46,5% dei farmaci a brevetto scaduto acquistati sono equivalenti, in Campania il dato scende al 21,7%. In generale nelle Regioni a reddito più basso, quelle del Sud, si consumano più farmaci di marca ma non risulta che questo produca migliori risultati di salute.
«Purtroppo c’è un’impostazione mentale delle persone in base alla quale fa meglio quello che costa dipiù. È difficile da scalfire — spiega il farmacologo Silvio Garattini, fondatore del Mario Negri di Milano — Basta pensare anche al successo degli integratori alimentari, che non sono necessari e costano tanto rispetto a quello che contengono».
Il fatto che in farmacia ci siano prodotti vecchi, non vuol dire che l’industria non lavori su nuovi medicinali. Spesso sono contro il cancro o altre malattie gravi. Vengono detti da Aifa “Nuove entità terapeutiche” e l’anno scorso sono costati ben 8 miliardi. Non passano però dalle farmacie ma sono somministrati o distribuiti in ospedale. Ci sono poi prodotti costosi perché nuovi acquistati dalle Asl (per circa 2 miliardi l’anno) e distribuiti dalle stesse farmacie.
«Restano settori sui quali non c’è quasi ricerca — dice Garattini — Mancano medicinali per le malattie rare, perché l’industria non ha interesse a produrli visto che poi ne venderebbe pochi e per patologie complesse e diffuse come Alzheimer e demenze. Quindi da una parte, ad esempio per ipertensione e colesterolo, abbiamo pure troppe armi a disposizione, dall’altra mancano».