La loro missione è aiutare i malati ricoverati, ma non lo fanno. L’elenco di motivazioni è lungo, quanto spesso incredibile: «Il dipendente non può svolgere mansioni sovraccaricanti per il rachide»; «Non può compiere assistenza diretta sul paziente»; «Deve evitare sforzi fisici eccessivi»; «Non può assumere ruoli di responsabilità». È meglio avere una sede di lavoro vicino a casa, evitare di trascorrere le notti in corsia e guai a stressarsi troppo.
Così, tra i certificati presentati per avere deroghe al lavoro quotidiano in ospedale, si trovano anche giustificazioni che appaiono del tutto opportunistiche: «Non può andare in turno al pomeriggio»; «Non può rimanere in servizio oltre le 17»; «Non può lavorare in otorinolaringoiatria»; «Si consiglia di non spostarlo in altra sede»; «Non deve essere impegnato in turni di guardia e reperibilità».
Mentre gli ospedali italiani sono alle prese con un enorme problema di carenza del personale e ci sono medici, infermieri e operatori sociosanitari costretti a lavorare il doppio per riuscire a dare le migliori cure ai pazienti, c’è chi chiede e ottiene inspiegabili sconti sui compiti che deve svolgere. I numeri del fenomeno sono enormi: nella Sanità pubblica oggi ci sono almeno 80 mila lavoratori — in pratica uno su dieci — con mansioni agevolate, autorizzate dalla legge, ma troppo spesso utilizzate in modo improprio. Per capirlo basta spulciare tra i certificati medici presentati da chi vuole vedersi riconosciute le inidoneità lavorative. Li ha raccolti il Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) dell’Università Bocconi all’interno di un dossier che, per la prima volta in Italia, ha contato i lavoratori con deroghe. «Il decreto legislativo 81 del 2008 dispone che è possibile essere riconosciuti inidonei allo svolgimento di determinati incarichi dopo una visita medica — spiegano i ricercatori del Cergas Carlo De Pietro e Marco Sartirana —. È una norma che giustamente tutela chi fa lavori usuranti e ha problemi di salute che si possono manifestare soprattutto con l’avanzare dell’età. Il guaio è che sono in troppi ad approfittarsene e a usare la legge per avere privilegi personali, magari con l’aiuto di medici e sindacalisti compiacenti».
Lo studio del Cergas-Bocconi si è svolto su un campione di 49 ospedali pubblici, un quinto del totale. Sono risultati 16.266 lavoratori con «esenzioni allo svolgimento di mansioni», l’11,8% degli organici. Il dato proiettato su base nazionale fa arrivare il numero a 80 mila. Tra chi ne usufruisce di più ci sono gli operatori socio-sanitari (24,1%) che aiutano il personale infermieristico nell’assistenza del ricoverato e gli infermieri stessi (15,1%). Lo stesso vale per il 4,8% dei medici. Le inidoneità sono più frequenti tra le donne e crescono significativamente con l’aumentare dell’età.
Chi svolge compiti fisicamente usuranti, incentrati sull’assistenza diretta al paziente, chiede di essere dispensato dal sollevare pesi. Mentre le deroghe al lavoro notturno e alla reperibilità sono diffuse maggiormente tra i medici. «La richiesta di potere svolgere incarichi agevolati incide pesantemente sull’organizzazione del lavoro — sottolineano i ricercatori De Pietro e Sartirana —. È una questione importante non solo perché è a cavallo tra il dovere di tutelare la salute dei lavoratori e quello di garantire il funzionamento dell’ospedale, ma anche perché ha ripercussioni significative sulla qualità dell’assistenza e sulla sicurezza dei pazienti. Motivo per cui è necessario trovare in tempi brevi una soluzione. Per evitare abusi gli ospedali stessi devono organizzarsi meglio e aiutare il medico, la direzione infermieristica e i rappresentanti dei lavoratori a collaborare di più».
Il Corriere della Sera – 15 gennaio 2016