Si chiamano con lo stesso nome — «queso manchego» — ma pasta, stagionatura e sapore sono lontani quanto la loro origine. La variante Dop è prodotta con latte di pecore di razza manchega, allevate fra i mulini a vento dell’altopiano spagnolo: un formaggio grasso e ricco di proteine, menzionato nel Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, il cavaliere errante della Mancia, e ancora oggi un «must» nei bar di tapas più sofisticati. Il «sosia» d’oltreoceano è a pasta molle, prodotto con il latte delle mucche centroamericane e venduto nei supermercati messicani a poco prezzo (qualcosa in più nei vicini Stati Uniti), talvolta già affettato per farcire le quesadillas .
È un po’ lo stesso destino del nostro parmigiano, che al di là dell’Atlantico si confonde con un ben diverso «parmesan», o della pluri-imitata feta greca. Com’è già successo in altre trattative commerciali, la difesa dell’indicazione geografica e dell’identità dei prodotti agroalimentari è diventata uno scoglio difficilissimo da superare per i negoziatori che in questi giorni a Città del Messico stanno tentando di chiudere la revisione del Trattato di libero scambio fra Unione europea e Messico, in vigore dal 2000. Per il governo di Enrique Peña Nieto è un traguardo da raggiungere in fretta: il Messico sta cercando nuove e più ampie vie commerciali, visto l’incerto futuro del Trattato nordamericano per il libero scambio (Nafta) nell’era Trump.
La Ue ha stilato una lista con oltre 400 indicazioni geografiche, molte delle quali contestate dai produttori messicani ma anche da aziende statunitensi che hanno interessi nel Paese centroamericano. Sono elencati vini, birre, insaccati, ma la parte del leone tocca ai formaggi, ben 57, fra cui alcuni dei nomi più famosi d’Europa: gorgonzola, fontina, grana padano, roquefort… I messicani fanno muro, spiegando che nel loro Paese vige un sistema basato sui marchi registrati, più che sull’origine. «Alcuni nomi sono utilizzati da decenni — commenta René Fonseca, direttore di Canilec (industria casearia), citando il “manchego”, ma anche “parmesano” e feta —. D’altronde sono i nomi che portarono qui gli stessi europei». Peccato che i sottoprodotti della «conquista del Nuevo Mundo» siano assai diversi dalle prelibatezze della tradizione e stiano già da tempo invadendo anche il mercato statunitense, facendo concorrenza diretta ai prodotti Dop del Vecchio continente.
Il conflitto maggiore è proprio sul «manchego», che nella versione messicana — «una frode ai consumatori», denunciano gli spagnoli — rappresenta addirittura il 15 per cento del mercato caseario nel Paese centroamericano. Alla fine probabilmente si arriverà a un compromesso per poter dare nuovo impulso agli scambi commerciali fra Ue e Messico, che dal 2000 sono più che triplicati. «L’Unione europea sta difendendo molto bene nel mondo il concetto di indicazione d’origine ma quando si arriva a parlare del singolo nome le trattative diventano più difficili — riconosce Massimo Forino, direttore di Assolatte —. Dove ci sono forti comunità di italiani si discute più di gorgonzola e parmigiano, in Messico il nodo è sul “manchego”. Ma è comunque importante stabilire subito delle regole chiare per evitare un domani di trovarci in un Far West. Il Messico non è un mercato enorme ma sta crescendo in modo importante. Nel 2017 l’export caseario italiano in Messico è aumentato del 30% per un totale di circa 370 tonnellate, pari a 3,5-4 milioni di euro. Meglio mettere i puntini sulle i».
I negoziatori tenteranno fino a mercoledì di chiudere l’accordo su regole di origine e proprietà intellettuale. Se il formaggio resta sul tavolo, si slitterà al nono round.
Il Corriere della Sera – 16 gennaio 2018