Gianna Milano. A vederlo, posato su uno strato di ghiaccio, il polmone, che appena sei ore prima un gruppo di chirurghi della facoltà di medicina dell’Università del Maryland, a Baltimora, aveva prelevato da un maiale, non sembra affatto poter tornare a funzionare, una volta trapiantato in un babbuino di sei anni.
L’intervento dura cinque ore, perché bisogna collegare in modo meticoloso vene e arterie, e il primate si risveglia un’ora e mezza dopo, con indosso un «gilet» high-tech per il monitoraggio dei segni vitali. Le modificazioni genetiche ottenute nel maiale dal team di Robin Pierson – che dirige il laboratorio del Maryland – fanno tollerare al sistema immunitario del babbuino il trapianto. Ma poi una serie di problemi inaspettati riduce la sua sopravvivenza a pochi giorni.
Da decenni ricerca immunologica e ingegneria genetica tentano di produrre una fonte costante e sicura di organi da impiantare negli esseri umani. E i maiali sono apparsi essere i candidati migliori. Poi la complessità del sistema immunitario e il rischio di infezioni di virus suini fece desistere, a inizio 2000, molti ricercatori e le maggiori società farmaceutiche dall’investire negli xenotrapianti, vale a dire nei trapianti di organi solidi, cellule o tessuti tra due specie, come da animali all’uomo. Oggi, tuttavia, grazie alle tecniche di «editing» del genoma – noto con la sigla Crispr-Cas9 – un team di biologi dell’Università di Harvard è riuscito a mettere fuori gioco, ossia a «spegnere», i geni dei maiali legati alle infezioni virali. E ad aprire così una serie di nuove prospettive.
Si è intervenuti sulle sequenze di Dna che contengono l’informazione genetica per i cosiddetti Perv, i Porcine Endogenous RetroViruses: sono antichi retrovirus, integrati nel genoma, che potrebbero contagiare chi riceve il trapianto di un loro organo. «La possibilità di annullare simultaneamente 62 sequenze Perv, che corrispondono ad altrettante sequenze retrovirali, potrebbe garantire al trapianto di organi dai maiali non tanto una maggiore efficacia, ma senz’altro una maggiore sicurezza», afferma Emanuele Cozzi, responsabile dell’Unità operativa dipartimentale di immunologia dei trapianti dell’Azienda ospedaliera di Padova. «Dato che la tecnica Crisp può essere utilizzata durante lo sviluppo embrionale nella cellula uovo, ciò significa che si potrà disporre di maiali già alla nascita privi delle sequenze virali trasmissibili all’uomo». Un notevole passo avanti per gli xenotrapianti, sul quale si è discusso su «Science» e su «Nature», due ammiraglie della letteratura scientifica.
Oltre alle cellule e ai tessuti di maiale, in un futuro non lontano si potrebbe passare alla sperimentazione di trapianto nell’uomo di organi solidi – come reni, polmoni, pancreas, cuore e fegato – ricavati, appunto, dai maiali modificati geneticamente già in fase embrionale? C’è chi prevede trial clinici di trapianto di polmoni nel 2020. «Altri, invece, ritengono irrealistica questa possibilità per motivi di sicurezza: gli organi di maiale potrebbero ugualmente trasmettere malattie a persone a cui devono essere somministrati farmaci immunosoppressori per evitare il rigetto», scrive Sara Reardon su «Nature».
È dagli Anni 60 che si sono fatti diversi tentativi di trapianto di reni da babbuini e scimpanzé agli esseri umani con scarso successo: ogni volta il sistema immunitario rigettava l’organo. L’idea, però, non è mai stata abbandonata e la ragione è semplice: darebbe la possibilità di salvare migliaia di persone che muoiono in attesa di trovare un donatore. Nei decenni successivi, poi, sono stati chiariti molti meccanismi alla base dell’insuccesso degli xenotrapianti da maiali. Nel 1993, per esempio, si scoprì che la reazione del sistema immunitario umano era diretta soprattutto verso un antigene del maiale: una molecola di galattosio, chiamata alfa-gal, che si trova sulla superficie delle cellule e porta al rigetto in pochi minuti. Impedendo a questo gene di esprimersi, si sarebbe potuto mitigare la reazione. Questa e altre tecniche hanno quindi risvegliato l’interesse (e gli investimenti) delle multinazionali negli xenotrapianti, dalla svizzera Novartis all’americana Genzyme e all’inglese Ppl Therapeutics, artefice della nascita di Dolly, la celebre pecora clonata.
Ma il sistema immunitario si è rivelato più complesso di quanto si pensasse. I babbuini che ricevevano organi di maiali, per esempio, sopravvivevano solo poche settimane, anche disattivando il gene per la produzione di alfa-gal. Nel 2000, quindi, Novartis abbandona il programma xenotrapianti. E non è la sola. Negli anni successivi alcuni team di ricercatori e start-up investono sui trapianti dei tessuti ricavati dal maiale, perché la risposta immunitaria è meno forte: cornee in cui le cellule del maiale sono state rimosse e, all’orizzonte, isole pancreatiche in grado di produrre insulina da trapiantare nei diabetici. Sperimentazioni cliniche di isole pancreatiche di maiali in esseri umani sono in corso in diversi Paesi e non ci sono prove di trasmissione di infezioni. Al momento, tuttavia, i dati sull’efficacia clinica restano limitati.
Sono gli organi solidi a creare le maggiori difficoltà, sebbene si siano identificati alcuni antigeni-chiave del maiale e siano stati messi a punto «cocktail» di farmaci immunosoppressori più efficaci di un tempo. Ogni organo, d’altra parte, pone problemi diversi. I polmoni, in particolare, sono più difficili da trapiantare a causa della fitta rete di vasi in cui il sangue si imbatte nelle proteine del maiale. «Quello della ricerca è un percorso lungo. E il “gene editing” potrebbe eliminare il ricorso ai farmaci immunosoppressori. Ora è importante proseguire nella sperimentazione preclinica sugli xenotrapianti, fatto che in Italia, secondo la nuova normativa del marzo 2014 che ha recepito in ritardo la direttiva europea, è impossibile fare – commenta Cozzi -. Questa legge, che bandisce gli xenotrapianti di organi solidi (ma non di cellule o di tessuti), vieta l’impiego dei modelli animali, che sono estremamente utili per la ricerca immunologica sui trapianti e taglia fuori, di fatto, la ricerca italiana da un altro importante settore di studio».
Intanto, nel mondo, gli studi proseguono: negli Usa si lavora alla realizzazione di «organi umanizzati»: sono organi di maiale privati del «corpo» delle cellule, delle quali resta solo l’impalcatura di tessuto connettivo e di collagene, e successivamente «umanizzati» con le nostre cellule. «Questa prospettiva si può ancora considerare uno xenotrapianto? – ironizza, amaramente, Cozzi -. Eppure è proprio questa la nuova frontiera della medicina rigenerativa e, purtroppo, l’Italia rischia di restarne tagliata fuori».
La Stampa – 20 gennaio 2016