La trasparenza va bene, ma non dimentichiamo la privacy. I due diritti devono trovare un punto di equilibrio che invece, secondo il Garante della riservatezza, nel nuovo decreto legislativo di attuazione della riforma Madia non c’è. È, dunque, un via libera condizionato quello concesso al provvedimento che, secondo il parere dell’Autorità, deve essere rivisto in più punti. Sullo stesso decreto nei giorni scorsi erano arrivate le proposte di correttivi dell’Anac, nel senso però di un accesso più ampio e meno condizionato dai costi.
Il provvedimento
Il decreto – uno degli undici approvati dal Governo per tradurre in pratica la legge 124/2015 di riorganizzazione della pubblica amministrazione e che ora sta compiendo il giro dei pareri (ha già ricevuto quello del Consiglio di Stato e si appresta ad andare in Parlamento) – interviene sul decreto 33/2013 con il quale è stata ampliato il raggio d’azione della trasparenza, imponendo l’obbligo di pubblicazione online di molti documenti pubblici e introducendo l’accesso civico, strumento grazie al quale il cittadino può chiedere alle amministrazioni di conoscere atti che non si trovano sui siti istituzionali.
Il nuovo Dlgs modifica in molti punti il decreto 33 con l’obiettivo di rendere ancora più penetrante il diritto del cittadino di conoscere l’operato degli apparati pubblici in modo da poter esercitare un controllo sulla loro attività. E per questo rende più pervasivo – sulla scia del Foia (Freedom of information act) statunitense – lo strumento dell’accesso civico, consentendo di ricorrervi senza alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva e ammettendo che, a differenza del diritto di accesso previsto dalla legge 241 del 1990, il cittadino possa attivarlo anche in assenza di una precisa motivazione, ma solo con lo scopo di verificare la bontà e l’efficacia del lavoro degli uffici pubblici.
I «rischi»
Un potere che, insieme all’obbligo di pubblicazione dei documenti pubblici su internet, invade il campo della privacy. Nei documenti pubblicati o richiesti attraverso il diritto civico ci possono, infatti, essere molti dati personali: si pensi solo all’obbligo per i politici di caricare sul sito dell’amministrazione di appartenenza le dichiarazioni di redditi.
Per il Garante si tratta di un potere sbilanciato sulla trasparenza, a danno della riservatezza. Dunque, va ristabilito l’equilibrio rimettendo mano a diversi passaggi del nuovo decreto, in modo che si circoscriva il campo dei documenti pubblicabili online e anche quello dei dati personali che l’amministrazione interpellata può fornire di fronte a una richiesta di accesso civico.
Il Sole 24 Ore – 14 marzo 2016