Riforme (della giustizia, del mercato del lavoro, del fisco); decreto «sblocca Italia» (rilancio dei cantieri e del settore immobiliare); taglio della spesa pubblica per ridurre le tasse su lavoratori e imprese. Sono le tre sfide che attendono il governo alla ripresa dell’attività.
Sfide sulle quali parallelamente il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, giocherà la partita in Europa per ottenere margini di flessibilità sulle regole di bilancio, in particolare sul raggiungimento del pareggio strutturale nel 2016 e sul percorso di riduzione del debito pubblico. Margini che servono innanzitutto a evitare che la commissione europea chieda all’Italia di fare manovre aggiuntive nel 2014 e poi ad aprire spazi per investimenti per la crescita (fondi europei, grandi infrastrutture) fuori dal vincolo del deficit non oltre il 3% del prodotto interno lordo.
Questa la prospettiva, ma già in questi giorni i tecnici del ministero dell’Economia hanno avviato il disbrigo della prima pratica pendente, la riscrittura del Def, Documento di economia e finanza, dello scorso aprile. Tutto da rifare, alla luce della recessione. Il prodotto interno lordo per il 2014 sarà vicino alla crescita zero, anziché 0,8%. Il deficit, in rapporto allo stesso pil, salirà dal 2,6% al 2,9-3%. Il debito pubblico potrebbe sfondare quota 135% del pil. Il nuovo scenario macroeconomico sarà contenuto nella nota di aggiornamento dello stesso Def che il governo deve presentare alle Camere entro il 20 settembre.
Il ministro Pier Carlo Padoan, che in questi giorni ha seguito telefonicamente il lavoro dei suoi uffici, rientrerà a Roma verso la fine della settimana. E troverà sulla sua scrivania i dossier con i nodi più difficili da sciogliere in vista del disegno di legge di Stabilità per il 2015 che dovrà essere approvato dal Consiglio dei ministri entro il 15 ottobre e notificato a Bruxelles per l’esame da parte della commissione europea (quella nuova, che entrerà in carica dal primo novembre). Il nodo più intricato è quello della spending review: i 17 miliardi di euro di tagli nel 2015 e i 32 nel 2016, indicati nello stesso Def, non sembrano conseguibili sulla sola base delle proposte del commissario Carlo Cottarelli, parte delle quali sono state già respinte da Renzi (tagli a pensioni, assistenza e sanità). Il governo dovrà quindi trovare anche altre fonti di finanziamento per confermare da un lato il bonus da 80 euro per i lavoratori e il mini taglio dell’Irap per le imprese decisi per il 2014 e dall’altro per tagliare ancora di più, come dice di voler fare Renzi, le tasse. Il governo esclude che il finanziamento, qualora non bastassero i tagli della spesa pubblica, verrà da nuove tasse, mentre guarda con rinnovato interesse al recupero dell’evasione fiscale e contributiva. Un serbatoio potenzialmente enorme (120 miliardi di gettito sottratti ogni anno alle casse pubbliche) che però è difficile da utilizzare perché non si può coprire il taglio delle tasse con un gettito eventuale, quale quello derivante dalla lotta all’evasione. Ciò non toglie che il governo si attenda grandi risultati dal nuovo corso dell’Agenzia delle entrate ora diretta da Rossella Orlandi (l’azione di recupero si concentrerà sugli anni recenti e sui grandi evasori) e dalla riforma del fisco attraverso i decreti di attuazione della delega. Alcuni dei quali saranno dedicati alla lotta all’evasione. Tra gli strumenti previsti anche il «contrasto di interessi fra contribuenti». La stessa delega prevede che le maggiori entrate da lotta all’evasione vadano al «Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale». Grandi aspettative ci sono anche sul disegno di legge sulla voluntary disclosure per il rientro dei capitali nascosti all’estero (in discussione in Parlamento e che dovrebbe essere allargata anche ai patrimoni nascosti in Italia) e sull’accordo con la Svizzera (sempre sul rientro dei capitali), che dovrebbero concludersi entrambi entro l’anno. Considerando che si dovrebbero pagare tutte le imposte evase più modeste sanzioni (ma l’evasore sarebbe indotto a mettersi in regola perché la caduta del segreto bancario non gli offre più riparo) e che si stima che solo i capitali nascosti all’estero ammontino a 200 miliardi di euro, il gettito potrebbe essere consistente.
Enr. Ma. – Il Corriere della Sera – 18 agosto 2014