Questa è la supremazia della politica. Quando il premier Matteo Renzi ha ricevuto a giugno il “piano Boeri” sulla previdenza e l’assistenza ha chiesto al suo staff di Palazzo Chigi di valutarne l’impatto economico ma anche di capire con esattezza chi sarebbero stati i vincitori e i vinti, in termini di gruppi sociali. Chi, dunque, si sarebbe avvantaggiato dagli interventi proposti dal presidente dell’Inps e chi, invece, ne avrebbe ricavato svantaggi. Perché nessuna riforma ha un impatto neutro sulla società.
Questione politica innanzitutto o, se si preferisce, di consenso politico. Voti, insomma. Poi, certo, c’erano anche gli aspetti finanziari, quelli per la copertura dei provvedimenti da prendere ma non è mai stato questo il fattore determinante o almeno prevalente. Come si sono trovati i finanziamenti per l’abolizione della Tasi sulla prima casa così si sarebbero trovate le risorse per introdurre forme di flessibilità per andare in pensione prima dei 66-67 anni e correggere nel punto più delicato e più criticato la riforma Fornero del 2011. Tanto più che nel primo anno l’impatto delle proposte dell’Inps non sarebbe stato superiore a qualche centinaio di milione di euro. Questioni di priorità politiche, dunque. E Renzi ha una sua agenda da questo punto di vista: la casa nel 2015, le imprese, con il taglio dell’Ires, nel 2016, le pensioni, nel 2017, infine le aliquote Irpef nel 2018. Una scaletta che non esclude del tutto il “piano Boeri” ma che lo congela per qualche mese almeno nella parte relativa alle pensioni. Non sull’assistenza, invece, che servirà ad alimentare il disegno di legge collegato alla Stabilità sulla povertà e sul riordino appunto dell’assistenza sociale.
L’altro ieri il presidente dell’Inps è stato a Palazzo Chigi e lì si è concordato di rendere pubblico il piano (più soft rispetto alla prima versione) con tanto di nota illustrativa, articolato di legge (16 articoli) e nota tecnica. Praticamente una proposta di un ministro, il “ministro ombra” del Lavoro. «Io non ce l’ho con Boeri», sosteneva anche ieri Renzi discutendo con i suoi collaboratori ripetendo poi il concetto già espresso in un’intervista: «Se applicassimo le sue proposte, però, finiremmo per mettere le mani su pensioni basse, quelle intorno ai duemila euro». Cosa tecnicamente non vera visto che Boeri propone di intervenire a partire dagli assegni da 3.500 euro in su. Ma politicamente rilevante: Renzi non considera questo il momento in cui chiedere un contributo ai pensionati d’oro o d’argento, anche perché su questa materia c’è il rischio di incappare in un giudizio di incostituzionalità da parte della Consulta.
Nemmeno Boeri, d’altra parte, ha intenzione di gettare la spugna: continuerà a fare proposte. Quando Renzi l’ha chiamato all’Inps era previsto che il professore della Bocconi partecipasse ai processi di policy. Sapendo che spetta alla politica, cioè al governo, cioè a Renzi decidere. E per le pensioni la strategia è medio termine. A Palazzo Chigi stanno studiando una “delega lunga” come la chiamano. Sarà presentata nel corso del 2016 e resa operativa con i decreti attuativi all’inizio del 2017. Ci sarà la flessibilità in uscita, ma non è detto che si ricorra, per il relativo finanziamento, al prelievo sulle pensioni più generose, quelle in cui è macroscopico lo scarto tra la massa di contributi versati e l’ammontare dell’assegno che si riceve. E qui gli aspetti tecnici avranno la loro importanza. Perché questa è una partita dai tanti risvolti nei quali tecnica e politica si intrecciano, con sfide a distanza tra accademici. Non è affatto causale, infatti, il titolo che Boeri ha dato alla sua proposta: “Non per cassa, ma per equità”. E’ il medesimo identico titolo di un articolo che nel maggio del 2013 Tito Boeri scrisse sul sito www. lavoce. info insieme a Tommaso Nannicini, il bocconiano che oggi a Palazzo Chigi coordina il gruppo degli economisti. Gli stessi che in estate hanno sostanzialmente sconsigliato al premier di seguire la strada di Boeri per gli effetti negativi che avrebbero prodotto sulle fasce basse dei pensionati. «Un effetto redistributivo perverso — sostenevano ieri sera a Palazzo Chigi — che avrebbe avvantaggiato i pensionati medio alti anziché gli operai o gli impiegati delle qualifiche più basse». Appuntamento all’anno prossimo.
Repubblica – 6 novembre 2015