Il cibo italiano non ha bisogno di presentazioni, e la nostra filiera agroalimentare è una di quelle in cui maggiori sono le opportunità di investimenti all’estero.
Assocamerestero, insieme a Simest, ha messo a punto il progetto «Business scouting e assistenza alle Pmi», promosso e finanziato dal ministero dello Sviluppo economico e realizzato in collaborazione con le Camere di commercio di Bogotá, Istanbul, Johannesburg, Montreal, Mumbai, San Paolo e Singapore. Il progetto esamina le opportunità di investimento da parte delle imprese italiane in tutti questi Paesi, alcuni dei quali davevro importanti nel panorama dei mercati esteri, specie emergenti.
Una forte crescita caratterizza, per esempio, l’economia brasiliana, accompagnata da un aumento della classe media. Il comparto agroalimentare, dunque, rappresenta un’occasione ghiotta per le nostre imprese. Dice Francesco Paternò, segretario generale della Camera di commercio Italo-brasiliana di San Paolo: «La popolarità del nostro cibo crescerà quanto più si faranno campagne per la salute e contro l’obesità, assai diffusa in Brasile. Il nostro cibo è sano. Un altro prodotto che sta avendo un aumento di diffusione straordinario è il vino, anche se si partiva da numeri bassi. Quello brasiliano non è di grande qualità ma sta migliorando proprio grazie ad investimenti di imprse italiane e francesi. Ma oggi il problema sui nostri prodotti sono i dazi, ed è un problema politico: il nostro governo dovrebbe pretendere reciprocità di trattamento, visto che noi non mettiamo gli stessi dazi sui prodotti brasiliani.»
Un pubblico maturo e pronto ad apprezzare prodotti alimentari sani e di qualità è quello canadese. In Canada si sta sviluppando fortemente una filiera di distribuzione di prodotti biologici e di nicchia. Nell’industria della trasformazione, dunque, le più importanti opportunità sono in questi tipi di alimenti, oltre che nella carne di maiale, che è di alta qualità nel Québec. Rinomati anche i macchinari italiani per packaging e per l’agricoltura. «Qui in Canada, il clima è molto favorevole agli investimenti – spiega Danielle Virone, segretaria generale della Camera di Montreal –. C’è una struttura che accoglie e imprese, con una politica fiscale che agevola le nuove aziende».
Lo sviluppo del settore primario è invece una delle grandi sfide economiche dell’India: vi lavora il 58% della popolazione ma genera soltanto il 16% del pil nazionale. Malgrado questo, i piani pluriennali governativi hanno consentito di aumentare la produttvità tanto che ora l’India è tra primi 15 Paesi esportatori di prodotti agricoli, il primo al mondoper trattori immatricolati, il primo produttore mondiale di latte. «Per venire a investire in India – spiega Claudio Maffioletti, che per la Camera di Mumbai ha curato il dossier – ci vuole una prospettiva quantomeno di medio periodo. Le opportunità su cui ci siamo concentrati sono nel segmento della meccanizzazione agricola o della trasformazione, nei quali è possibile impiantare una controllata 100% straniera, mentre per chi vuole vendere prodotti alimentari italiani, nel retail è d’obbligo una joint venture con un partner indiano, senza contare i dazi che gravano sui nostri prodotti, in primis il vino. Anche nel packaging ci sono ottime opportunità».
Un altro Brics interessante per il comparto è il Sudafrica, in cui tutta la filiera agroalimentare conribuisce per il 15% al Pil, il costo della manodopera è molto competitivo e le infrastrutture le più sviluppate dell’Africa. Sono aumentate moltissimo le esportazioni e chi vuole investire deve tener conto che il Sudafrica è la porta di ingresso della maggior parte dei prodotti e beni destinati agli altri Paesi africani.
Uncennomerita anche il comparto agroalimentare della Turchia, che ha conosciuto negli ultimi anni una crescita costante con grande ampliamento dell’offerta dei punti vendita al dettaglio e ha visto un aumento esponenziale degli investimenti diretti esteri nel settore e quello della Colombia. Qui la produzione agricola è molto diversificata e i prodotti base ben posizionati nei mercati occidentali. Il comparto genera il 9% del Pil, il 21% dell’export e il 19% dell’occupazione. Il Governo punta ad aumentare la produzione, anche perché l’industria agroalimentare è di importanza strategica per il Paese. Chi investe è favorito da forme societarie con bassissimi costi di costituzione e grande flessibilità.
Il Sole 24 Ore – 16 settembre 2013