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Il medico di famiglia scrive a Conte: “Gettato in prima linea senza protezioni. Ora sono in fin di vita”. Forse si è infettato mentre faceva i test rapidi agli assistiti

di Enrico Ferro, Repubblica. «Caro presidente Conte, sono un medico di famiglia e, come tanti altri contagiati, sono ricoverato in terapia semintensiva con una polmonite bilaterale. Io non so se rivedrò mia moglie e i miei figli e ora, da questo letto, mi sento di dirle che lei dovrebbe rimuovere chi non è stato all’altezza della situazione ». Il testamento di un medico di base è un appello al premier Giuseppe Conte. Domenico Minasola, 59 anni, di Padova, usa la forza delle immagini per fare arrivare a destinazione le sue parole: gira la telecamera del suo smartphone e si riprende con il respiratore. «Sono uno dei tanti medici vittima del servizio, mi hanno sempre insegnato a rispettare le istituzioni, ma sono indignato dal comportamento dei suoi comitati e dei commissari che si sono fatti trovare impreparati in questa seconda ondata di pandemia ».
Minasola è ricoverato in ospedale da martedì mattina, da quando le sue condizioni sono peggiorate. Veniva da giorni di lavoro intenso durante i quali, oltre alla normale attività, ha dovuto effettuare anche un grande numero di tamponi. È proprio nel contesto lavorativo che, probabilmente, ha contratto il virus. «I suoi collaboratori non hanno capito che gli studi dei medici di famiglia sono diventati ambulatori Covid. E come tali andavano protetti con procedure e indicazioni di sicurezza che non sono mai arrivate ». Il medico cinquantanovenne ha uno studio in zona Sacro Cuore, un quartiere popoloso e multietnico di Padova. «Avrebbero dovuto vestirci con tute e scafandro e non solo con mascherine e camici», si sfoga dal letto d’ospedale, comunicando esclusivamente con i messaggi Whatsapp, nei momenti in cui le forze glielo consentono. «Ci voleva organizzazione da parte del ministero della Salute e del comitato tecnico scientifico, che doveva darci disposizioni precise di protezione individuale e non solo imporre nuove misure verso i nostri assistiti ». Anche lui, come tanti altri colleghi, si è dovuto organizzare per fare i test antigenici, come conseguenza dell’accordo sindacale firmato a livello nazionale e ripreso da un’ordinanza della Regione Veneto. Gli spazi interni erano inadeguati e allora si è inventato una specie di drive-in esterno.
Si è parlato spesso della medicina di territorio come di un fattore strategico nella lotta alla pandemia, per evitare di gravare troppo sugli ospedali. «Condivido la strategia — dice Minasola — Ma con protezione, istruzione e sanificazioni degli ambulatori, che invece abbiamo sempre dovuto organizzare noi. Perché devo rischiare la mia vita, quando c’è chi passa le giornate a commentare l’indice Rt? Nessuno si è ancora reso conto di cosa sta accadendo alla medicina territoriale ». Minasola fa il medico da 35 anni e giura di non essersene mai pentito una sola volta, nemmeno ora che le acque si sono fatte burrascose. «Io mi rivolgo a Conte, mi aspetto la sua vicinanza e, soprattutto, che agisca subito: se c’è da migliorare qualcosa bisogna farlo adesso. Questa è una battaglia che dobbiamo vincere e affrontare insieme».

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