Anche se la diagnosi non lascia scampo la perdita di chance di sopravvivenza del paziente va risarcita quando l’intervento del medico l’ha compromessa. La Cassazione, con la sentenza 7195 depositata ieri, chiarisce che la tutela patrimoniale del diritto a mantenere intatte le proprie chance di sopravvivenza è configurabile in maniera autonoma rispetto al diritto alla vita o all’integrità fisica.
Un distinguo che era sfuggito ai giudici di merito che, sia in primo grado che in appello, avevano respinto il ricorso del marito di una signora morta di cancro a cinquanta anni. Alla donna era stato tolto un solo ovaio, con una scelta di chirurgia conservativa ingiustificata per l’età ma soprattutto per lo stadio molto avanzato della malattia che avrebbe suggerito un intervento radicale.
Ma proprio la fase finale della patologia aveva indotto i giudici di prima e seconda istanza a negare il risarcimento in base a un calcolo statistico. La Corte d’appello si era basata su una sorta di distinzione tra chance risarcibili e non risarcibili, fondata su un criterio percentuale. Sarebbe risarcibile solo la perdita di occasioni favorevoli «con un grado di probabilità statisticamente consistente o quanto meno non irrilevante» quantificato nella misura del 50% in su. Per la verità la Corte d’appello aveva dato conto anche di un orientamento che farebbe scattare il risarcimento anche sotto quella soglia, bollandolo però come minoritario.
Una scelta di campo che tagliava fuori il ricorrente perché, in base a statistiche epidemiologiche, la paziente in caso di un’operazione corretta avrebbe avuto il 41% di possibilità di superare i 5 anni dall’intervento. La Cassazione ribalta però il punto di vista dei giudici di merito, dando rilevanza al fattore tempo quale componente essenziale del bene della vita. Con la conseguente rilevanza di ogni fatto che ne determini la cessazione. Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale nei confronti degli aventi diritto dovrà essere messo in relazione solo all’anticipazione della morte, a prescindere dai numeri. Questi ultimi entrano in gioco solo nella fase della quantificazione del danno: «le possibilità di sopravvivenza, misurate in astratto secondo criteri percentuali, rilevano ai fini della liquidazione equitativa del danno, che dovrà altresì tenere conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e quella della sopravvivenza possibile in caso di intervento chirurgico corretto». La Cassazione rinvia alla Corte d’appello perché decida di nuovo nel rispetto del principio affermato
Il Sole 24 Ore – 28 marzo 2014