Settimana caratterizzata dagli annunci della politica che, con la loro discontinuità comunicativa, alimentano tracce di speranza in un tessuto socioeconomico sfilacciato e stanco. Da rammendare, direbbe Renzi. Che mi rimanda, seguendo più i percorsi dei grandi eventi che della politica legati alle elezioni e all’Europa che verrà, alla scadenza dell’Expo 2015.
Evento che avrà come scenario 140 paesi del mondo che si rappresentano in Italia, e il nostro sistema paese da “rammendare”, che si rappresenterà a Milano nel Padiglione Italia, di fronte al mondo, che si interrogherà su come nutrire il pianeta-energia per la vita.
Tema che rimanda al cibo e alla terra che ci nutrono, e al territorio, che è la dimensione della terra manipolata, “fabbricata”, abitata e raccontata. Terra e territorio che per tutte le esposizioni universali del ’900 sono state celebrate come l’ambiente della potenza della tecnica e del capitalismo che veniva avanti. Tanto è che furono interrotti solo da eventi più potenti e tragici come le due guerre mondali. Ma gli Expo del XXI secolo, da Saragozza, che aveva come tema la risorsa scarsa acqua, a quello di Shanghai, che pur rappresentando il turbo capitalismo cinese, si poneva il tema della qualità della vita nelle città, sono eventi nei quali le soglie critiche concettuali da cui partire diventano “limite-scarsità-prossimità” rispetto a “proliferazione-abbondanza-simultanietà”.
Il tema di Shanghai “better city, better life” evolve, partendo dal cibo e dall’antico adagio “città-campagna”, verso la dialettica tra la smart city della tecnica, ove si vive e si lavora comunicando, e la smart land del territorio. Così l’Expo che verrà, nella sua eventologia da globalizzazione, o sarà, oltre che società dello spettacolo, anche un momento nella metamorfosi della crisi in cui i paesi del mondo si confronteranno sul tema dello sviluppo che verrà, o non sarà in grado di rispondere a come nutrire il pianeta con nuove energie per la vita. E qui si torna alla politica, con le sue tracce di speranza per un paese da rammendare, che Renzi rappresenta anche come l’arazzo dell’Italia delle meraviglie che ce la può fare ad andare nel mondo e quindi anche a dare una rappresentazione di sé e un contributo sui temi dell’Expo che verrà. Per capire se riusciremo a rammendarel’arazzo può essere utile rendicontare un giro d’Italia in sei tappe che ho seguito con il Padiglione Italia e con il sottosegretario Maurizio Martina, nell’Italia delle regioni e dei territori che si preparano all’Expo del 2015. Dal racconto di più di 1.500 attori territoriali emerge un orgoglio di potenza dolce, fatta di storie territoriali ma anche di capacità di intrecciare innovazione nel produrre i legami territoriali. Concetti che richiamano la necessità di ragionare su quali risorse l’Italia può mettere in campo per costruire un proprio spazio di posizione nel mondoche la grande trasformazione globale sta plasmando. Tutti concordano su uno spazio di rappresentazione caratterizzato non dalle risorse del “hard power” (popolazione, Pil, capacità militari…), quanto da cultura, valori, territorio, bellezza, identità…
Un architrave culturale sulla quale incardinare la rappresentazione del sistema paese a Expo basata sull’idea che l’Italia possa esprimere un “potere dolce” della qualità e della coesione come paese che ha molto da dire sul tema nutrire il pianeta, energie per la vita. Un potere dolce che deriva dalle peculiarità territoriali che dovrebbero esprimersi nella capacità di ascoltare e far riflettere il mondo su quattro processi di lungo periodo che sostanziano l’idea del soft power italiano: si parte ovviamente dalla nostra storia di paese agricolo che si evolve nell’agrolimentare e nell’agroindustriale, mantenendo e producendo borghi e qualità della vita, paesaggio, che rimandano al turismo ma anche creatività, design, manifattura e tecnologia applicata, che fanno il made in Italy.
L’Expo è visto come motore di una riforma nazionale, di una sorta di ripartenza del paese che trova la forza di uscire dalla crisi. Non solo come vetrina delle eccellenze, maanchecomeunacapacità di rappresentare l’esperienza delle diversità che vanno dalle Alpi al Mediterraneo, dall’Europa del burro ai paesi dell’olio. Nonèuncasoseilsentiredominante di questi incontri è stato caratterizzato da un mix di orgoglio e speranza nella resilienza. Orgoglio della capacità di superarela crisi mettendoin giocolanostra storia territoriale, vedendo nell’Expo un segno di discontinuità in un clima generale pervaso dall’idea del declino. Si è distribuito in questo percorso anche un questionario che confermaconi numerifreddi l’orgoglio e la speranza.
Il 46% ritiene che l’Expo sia una grande opportunità per dire che il nostro paese ha una sua fisionomia e forza per cui ce la sta facendo. Per un altro 45% l’Expo può essere un’occasione molto concreta per dare supporto alle nostreimprese eal nostro terziario e per un 37% è un’opportunità simbolica per dire che siamo il paese del bello e della qualità e su questo ripartiamo. Moltiplicando le opportunità di relazione per imprese e territori con l’estero per il 45%. Edare visibilità a settori strategici per il nostro rilancio come l’agroalimentare, il turismo e il made in Italy per farne un momento di confronto per raccogliere idee, proposte, confrontandosi con gli altri paesi per il 38%.
Tutti dati freddi che, al di là del racconto di questo piccolo tour nell’Italia da rammendare, dicono al presidente Renzi e a Maurizio Martina, ora ministro dell’Agricoltura con delega all’Expo, che nei territori del sistema paese dal basso ci sono tracce di orgoglio e speranza utili per chi cerca di innestarli dall’alto con annunci che dicono che ce la possiamo fare.
Il Sole 24 Ore – 16 marzo 2014