Nelle bozze di riforma del pubblico impiego c’è, ad oggi, un grande assente, cioè la regolamentazione dei fondi integrativi del personale. Eppure, anche solo il fatto che a metà maggio sia stata emanata sul tema una circolare a firma congiunta di ben tre ministri dimostra il caos generato, più che dal tentativo di “sanatoria” del «Salva-Roma» ter, dai comportamenti scoperti nelle ispezioni della Ragioneria generale: ogni volta che i servizi ispettivi vanno a controllare il trattamento erogato in un Comune, si scoperchia un vaso di Pandora, fatto di indennità fantasiose e di erogazioni a pioggia.
Il tema è noto da anni. Già il ministro Renato Brunetta era intervenuto, inasprendo i controlli e aprendo formalmente alla possibilità di recuperare quanto illegittimamente erogato sui fondi futuri. In pratica, però, tutto è continuato come prima. Oggi, di fronte all’esplodere di casi come quello di Roma, con contestazioni per oltre 700 milioni di euro, è chiaro che si deve arrivare a una soluzione ragionevole, e che il tutto non potrà risolversi con una interpretazione maccheronica del «salva-Roma» ter. Serve un vero riassetto del sistema, il solo che potrà giustificare quella “sanatoria” che pare inevitabile.
Il riassetto dovrà fondarsi su alcuni principi di fondo. L’importo da recuperare, in caso di contestazioni del Mef, dovrà essere “arbitrato” da un soggetto terzo (l’Aran?) che individui in modo certo, sentite le parti, la somma da recuperare e il tempo necessario, 5 o 10 anni.
A fronte di una giurisprudenza incostante, si deve poi decidere con una norma se la prescrizione del pregresso è quinquennale (come pare corretto) o decennale (tesi suffragata da qualche sentenza).
Per avere avere controlli efficaci, occorrono regole semplici. Per questo è venuto il momento di cristallizzare la parte stabile dei fondi di comparto (figlia di una annosa stratificazione di somme) e di dare certezza all’importo massimo da erogare come parte variabile. Si decida quanto debba essere, in percentuale della parte fissa, in modo che l’organo di revisione possa controllare con semplicità se si è dentro o fuori il tetto. Spetterà agli addetti ai lavori, poi, impiegare questo importo nel quadro delle regole previste.
Quarto ed ultimo punto: i soldi si distribuiscono quando si hanno. Dovrà quindi essere stabilito un divieto di attribuzione della parte variabile almeno per gli enti in disavanzo (o, meglio ancora, che ricorrono all’anticipazione di cassa). Quattro mosse, in sostanza, per ridefinire un sistema che non funziona e per consentire agli enti di ripartire in tempi brevi quando si trovino a subire delle contestazioni del Mef, per evitare che, nell’incertezza delle norme e per le esitazioni della politica, si paralizzino le amministrazioni in un conflitto sindacale senza fine.
Il Sole 24 Ore – Stefano Pozzoli – 16 giugno 2014