Paolo Baroni. In Italia la lista Falciani vale carta straccia. Per le nostre leggi, infatti, un dossier illegale come quello confezionato dall’ex esperto informatico non può essere utilizzato come prova in un processo penale. Ed anzi è un reato detenerlo, al punto che si rischiano pure 6 anni di carcere (7 nel caso si tratti di pubblico ufficiale).
E non è un caso quindi se delle 100 procure italiane che negli anni scorsi hanno avviato indagini sugli italiani che risultavano intestatari di un conto presso la Hsbc ben poche abbiano concluso qualcosa. Nessun rinvio a giudizio, qualche posizione ancora in sospeso ancora al vaglio dei vari gip, e poi raffiche di archiviazioni che spesso sono apparse un po’ di comodo.
«L’articolo 240 del codice penale è molto chiaro: i dati contenuti in liste ottenute illegalmente non sono utilizzabili come elemento di prova», spiega l’avvocato milanese Giacomo Lunghini, che per primo in Italia a fine 2011 ha ottenuto da un tribunale, in questo caso quello di Pinerolo, la conferma che il dossieraggio illegale non può essere utilizzato seguito dall’ordine impartito al pm di struggere la lista con i nomi dei correntisti della Hsbc.
L’effetto del caso-Telecom
Certo di fronte alla Germania che è arrivata a schierare i servizi segreti per stanare i grandi evasori o il Belgio che, ancora ieri, ha fatto sapere d’essere pronto ad emettere mandati di arresto internazionali contro i vertici della filiale svizzera della Hsbc, l’impressione è in Italia gli evasori, o sospetti tali, vengano sempre trattati un po’ con i guanti bianchi. Solo la Guardia di finanza riesce a recuperare qualche milione (30 in questo caso, su 101 evasori totali stanati), ma poi ci si ferma lì. «Premesso che non necessariamente chi ha un conto in Svizzera è un evasore – spiega Lunghini – il diverso approccio discende dal differente ordinamento. Ad esempio in Germania è consentito alle autorità acquistare direttamente i dati, in qualsiasi forma siano stati raccolti». In Italia non è così: dal 2006, infatti, in seguito allo scandalo Telecom-Pirelli sulle intercettazioni abusive e il dossieraggio illegale praticato dalla security del gruppo, i documenti riservati ottenuti per vie illegali per legge non si possono utilizzare. E come detto, anzi, vanno distrutti.
Il precedente di Vaduz
Anche con la lista Vaduz (390 nominativi, 1,3 miliardi di depositi intestati agli italiani, venuta a galla nel 2008) i magistrati non hanno concluso granché. Non basta infatti acquisire questo tipo di documenti tramite i canali della normale collaborazione tra le agenzie fiscali o attraverso rogatorie per «ripulirli»: la natura illecita infatti permane. E in tribunale pesa, Oggi, con la lista Falciani, dunque non ci si può combinare più nulla, tanto più che tutti i reati possibili oramai sono andati in prescrizione perchè riferiti a depositi effettuati nel 2006. Qualcuno ha sanato le sue posizioni col Fisco come Valentino Rossi, ma soprattutto in tantissimi hanno utilizzato a suo tempo lo scudo fiscale (1.264 casi su 3.276 ispezioni della Gdf).
Svizzera, ora si cambia
Domani però la questione si potrebbe riaprire. Perché ci sono procure come quella di Roma che si riservano di verificare se nei nuovi elenchi ci sono nuovi personaggi da sottoporre a verifica. Ma soprattutto perchè l’imminente accordo di scambio automatico dei dati con la Svizzera ci consente di richiedere informazioni sui conti bancari in maniera perfettamente legale e perché nel frattempo è stato istituito il reato di autoriciclaggio. Peccato però che in virtù della delega fiscale, in parallelo, i termini per gli accertamenti fiscali di tipo penale vengano ridotti da 8 a 4 anni. Per la gioia di tanti grandi evasori che hanno forse un motivo in più per dormire sonni tranquilli.
La Stampa – 10 febbraio 2015